Giancarlo La Vella – Radio Vaticana
Sono ancora palpabili le emozioni vissute alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Tra pochi giorni riprenderanno le gare e la consegna di medaglie alle Paralimpiadi, i Giochi per atleti diversamente abili che si svolgeranno, sempre nella capitale nipponica, dal 24 agosto al 5 settembre prossimi. Molti hanno definito Tokyo 2020 i Giochi dell’incontro, della multietnicità e dello stare insieme, aspetti che in parte hanno fatto dimenticare i timori della pandemia. Don Gionatan De Marco, responsabile dell’Ufficio Sport e tempo libero della Cei, e consulente spirituale della Nazionale italiana a Tokyo, ci offre, nell’intervista a Radio Vaticana-Vatican News, uno spaccato di quella che è stata la vita degli atleti all’interno del Villaggio Olimpico
Don Gionatan De Marco, queste forse sono state le Olimpiadi più difficili dal dopoguerra a causa dell’emergenza Covid, ma alla fine possiamo dire che lo sport ha avuto la meglio sui timori legati alla pandemia?
Sicuramente quelle di Tokyo 2020 sono state Olimpiadi complicate, perché non era facile in questo contesto di pandemia portare tante persone a vivere all’interno di un unico spazio e soprattutto stare attenti, perché le precauzioni adottate venissero rispettate. Di certo, però, l’esperienza ci ha raccontato di come la responsabilità e le attenzioni possono dare una svolta alla situazione che a livello universale stiamo vivendo. A Tokyo lo sport ha saputo dare questa risposta, la risposta che il rispetto delle regole, la collaborazione, il fare squadra all’interno anche di questa esperienza di lotta alla pandemia sicuramente fa ottenere dei buoni risultati, addirittura può far vincere come è accaduto in questi giorni a Tokyo.
Per tutto il periodo delle Olimpiadi lei è stato a Casa Italia. Qual è stato il clima tra gli atleti in questi Giochi, che si sono caratterizzati per essere l’incontro per eccellenza tra etnie religiose, realtà sociali diverse? Come, attraverso lo sport, queste realtà sono riuscite a dialogare e a sentirsi unite?
Il clima tra gli atleti è stato sempre festoso, un clima di amicizia sincera. Posso testimoniare come all’interno della squadra italiana siano state tante le esperienze e le emozioni vissute da Coloro che sono riusciti a portare a casa una medaglia, a coloro che dopo tanti anni di preparazione per l’emozione non hanno avuto dei buoni risultati. Ma la bellezza dell’esperienza olimpica è che una volta che si entra nel villaggio si è all’interno di un mondo di festa e di amicizia. Questo penso sia un un’esperienza determinante per gli atleti che la vivono in prima persona. Sicuramente poi la vittoria di tanti atleti italiani ha aiutato, agevolato, potenziato questo entusiasmo e questa voglia di stare insieme, di gioire gli uni per gli altri, di sostenersi e penso che il modo con cui gli atleti italiani hanno sempre festeggiato una vittoria dica la loro grandezza d’animo. Da Vito Dell’Aquila, che prima di festeggiare ha invitato il pubblico a fare un applauso all’avversario sconfitto, fino a Marcell Jacobs, con gli altri della staffetta maschile, che sentivano il bisogno di un abbraccio sincero. E penso che la logica dell’abbraccio sia venuta fuori tante volte all’interno di questa edizione delle Olimpiadi, non solo l’abbraccio tra compagni di squadra, ma anche tanti abbracci tra avversari, tra il vincente lo sconfitto, Penso che questa l’esperienza più bella vissuta qui a Tokyo in questi giorni.
Papa Francesco spesso utilizza lo sport come metafora del cammino di fede, della vita stessa. Quale posto ha avuto la fede nell’Olimpiade. Come ha aiutato a vivere emozioni e gioie per la vittoria, ma anche delusioni per la sconfitta?
Una delle cose più entusiasmanti nel vivere all’interno del Villaggio Olimpico è proprio questa: l’accorgersi che se si costruisce un dialogo che ha un linguaggio comune, in questo caso il linguaggio dello sport, non esistono differenze, non esistono divisioni, non esistono contrapposizioni. Qui all’interno del Villaggio Olimpico la festa è stata caratterizzata da questa convivialità delle differenze. Ragazzi ragazze di diverse culture, di diverse religioni, che però hanno vissuto l’esperienza l’universalità, di scoprirsi un unico mondo, un unico umanità, un’unica famiglia, che, attraverso il linguaggio dello sport, ha saputo esprimere i propri talenti, ha saputo raccontare il meglio di sé. La fede all’interno dell’esperienza olimpica è lasciata molto all’esperienza personale di ogni atleta, anche se ci sono tanti segni in cui gli atleti manifestano la loro fede, che non è soltanto dire ‘credo’, ma è anche il coraggio di dire ‘cerco’. Tanti giovani in questi giorni, anche attraverso il misurarsi con il sacrificio, con la fatica, con lo stress di una competizione, hanno allenato anche l’anima, hanno allenato anche lo spirito, hanno allenato la loro capacità di mettere in moto tutte le potenzialità di cui sono capaci. Hanno vissuto l’esperienza stupenda di come ci si affida gli uni agli altri e questo diventa un’arma vincente. Penso che questo sia il modo più bello in cui gli atleti, anche all’interno della squadra italiana, hanno vissuto la loro esperienza di fede in questo continuo cercare anche il senso di ciò che hanno vissuto e dell’esperienza che hanno fatto in questi giorni.
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