Domani, 10 ottobre, l’Iraq torna alle urne, in anticipo di un anno, per rinnovare il Parlamento unicamerale. Si tratta della quinta tornata elettorale dall’invasione statunitense del 2003 che ha portato alla caduta del regime di Saddam Hussein, la prima dopo le forti proteste scoppiate nell’autunno del 2019 che fecero cadere il governo. Sia l’Ue che l’Onu hanno inviato osservatori in Iraq su invito dell’Alta commissione elettorale indipendente del Paese, per monitorare le operazioni di voto e di scrutinio. Gli aventi diritto al voto sono quasi 25 milioni, chiamati a scegliere i 329 deputati del Parlamento su 3.200 candidati sparsi in 83 collegi elettorali. Il 25% dei seggi parlamentari è riservato alle donne. Alla nuova Camera spetterà eleggere Presidente e Primo Ministro.
Un voto tra corruzione e instabilità. “Si tratta di un voto importante, necessario per garantire al Paese un governo stabile capace di dare al popolo un futuro solido e sicuro” dichiara al Sir il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako che in una nota apparsa in questi giorni sul sito del patriarcato, esorta gli iracheni
“a partecipare convintamente al voto con una coscienza viva per la pace, la stabilità e per garantire un futuro migliore per l’Iraq”.
Tuttavia, ammette il porporato, “oggi il terreno non è stato abbastanza preparato. Circolano tanta instabilità e corruzione; nelle strade ci sono milizie armate e molto denaro che viene usato per acquistare consensi. Arrivano a pagare anche 100 e più dollari per accaparrarsi un voto”. Il timore di brogli e di acquisto di voti è stato confermato, nei giorni scorsi, anche dall’Alta Commissione elettorale indipendente irachena, che ai media locali ha parlato di tentativi di frode elettorale. “Assistiamo a grandi lotte tra i partiti di espressione islamista, e non solo, per restare al potere. Mi chiedo: cosa potrebbe accadere se dovessero perdere le elezioni? Ci saranno violenze e turbative nella vita politica? Cosa dobbiamo attenderci?” I dubbi del cardinale trovano una parziale risposta nelle Istituzioni: “Sappiamo anche che il Governo è cosciente di tutta questa situazione e farà il possibile per garantire la regolarità del voto. Vero anche – aggiunge Mar Sako – che l’Iraq è molto vasto e diversi posti sono difficili da raggiungere anche per chi deve operare dei controlli”.
Società civile: rischio boicottaggio. Nonostante le elezioni siano state anticipate per le proteste di piazza (2019) – molti manifestanti erano giovani e donne – promosse dal movimento ‘Thawra Tishreen’ (rivoluzione di ottobre), il rischio boicottaggio della società civile irachena è alto. Secondo l’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (Icssi) – piattaforma di solidarietà internazionale con la società civile irachena – “il processo elettorale è stato guidato dalle forze tradizionali e caratterizzato dalla continua intimidazione delle milizie nei confronti di attivisti e attiviste e delle nuove forze di opposizione. Dall’inizio delle proteste sono stati uccise oltre 600 persone tra manifestanti, giornalisti ed attivisti, 20mila sono stati i feriti, molti altri sono scomparsi e i dati sono in continuo aggiornamento”. Tale condizione, afferma l’Icssi, “ha generato una reazione di boicottaggio di massa, che lascerà la sua impronta sui risultati elettorali, rischiando di avvantaggiare le forze più settarie”. Infatti,
“ampie fasce della popolazione si stanno orientando verso l’astensione di protesta, guidate da una profonda sfiducia nel sistema istituzionale. Alcuni partiti – tra cui quelli emersi dalle proteste – hanno invece scelto una strategia di boicottaggio politico, accusando le iniquità del sistema, le violenze e le intimidazioni cui sono sottoposti i loro candidati”.
A tale riguardo Icssi e l’ong Un Ponte Per (Upp) hanno prodotto un dossier che “ricostruisce sinteticamente l’origine e l’evoluzione delle elezioni e lo sviluppo della contestazione al processo elettorale da parte della società civile irachena. Centinaia di organizzazioni si sono mobilitate strutturando ampie reti di monitoraggio elettorale, impegnato a rilevare le violazioni dei principi democratici”. Le due organizzazioni hanno anche lanciato un appello alle istituzioni italiane ed europee affinché “facciano pressione sulle autorità irachene per il pieno rispetto delle libertà politiche, in particolare dei giovani e delle giovani, senza le quali ogni processo elettorale sarebbe inficiato”.
Cristiani al voto. Per quel che riguarda la partecipazione al voto della minoranza cristiana, questa, denuncia il patriarca Sako “andrà alle urne frammentata”. L’invito del cardinale di una lista unica di 5 candidati – quelli spettanti ai cristiani secondo le quote vigenti – non è stato recepito. Un invito reiterato ancora in questi ultimi giorni, sempre attraverso i canali ufficiali del Patriarcato:
“abbandonare forme di settarismo che spingono i cristiani anche a dividersi tra loro, e provare ad abbracciarsi come una compagine unita nei discorsi e nelle posizioni”.
I candidati cristiani presenti nelle liste elettorali sono 35, disseminati nelle oltre 40 coalizioni, in cui si raggruppano 267 partiti. Dei 3200 candidati poco più di mille appartengono a Partiti e coalizioni. “Per questo motivo – spiega Mar Sako – non potranno rappresentare le istanze dei cristiani come avrebbero potuto fare se fossero stati eletti in una lista unica cristiana. La quota di 5 seggi riservata ai cristiani in questo modo verrà scippata da partiti più forti”. Per tale motivo il rischio astensione anche tra i cristiani è alto. “Come Chiesa abbiamo lanciato un appello al voto ma la delusione della popolazione è palpabile” conclude il cardinale. Analogo appello al voto è stato lanciato anche dalla massima autorità sciita, il grande ayatollah Ali al-Sistani, per il quale solo un voto “consapevole e responsabile” può garantire un “vero cambiamento”.
“Votare è il modo migliore per guidare il Paese verso un futuro migliore”.
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