“La sinodalità manifesta il carattere ‘pellegrino’ della Chiesa”. Così mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Orvieto-Todi e assistente ecclesiastico dell’Ac, all’incontro con i presidenti e assistenti in corso a Roma, dal titolo “Passiamo all’altra Riva”. “Questa consapevolezza – ha continuato il presule -, sebbene appartenga al patrimonio genetico dell’Ac, non esime l’Associazione dal compito di sottoporsi a continua revisione. Non si tratta di cambiare ‘cilindrata’ a una ‘carrozzeria’ che ha le sue caratteristiche di base, ma di aprire nuove strade all’ascolto di ‘ciò che lo Spirito dice alle Chiese’ (cf. Ap 2,7). Farsi artigiani di comunione, tessitori di unità è la vocazione propria dell’Associazione, che si configura come scuola di fraternità, abilitata a custodire la grazia dell’insieme, a ravvivare l’audacia di essere un solo Corpo”. Essendo “scuola di fraternità, l’Ac si qualifica come ‘palestra di sinodalità’, a cui Papa Francesco, nel discorso dell’aprile scorso al Consiglio nazionale di Ac raccomanda – ricorda mons. Sigismondi – di ‘continuare ad essere un’importante risorsa per la Chiesa in Italia’. La sinodalità è, infatti, il suo mestiere, la sua specializzazione fondamentale. Ne caratterizza, in tutti i suoi livelli, lo stile di governo, che non si ispira alla leadership del presidente in carica o, al contrario, a un tavolo sindacale, ma si fonda sul sensus fidei, una sorta di istinto spirituale forgiato dalla grazia battesimale, che consente di sentire cum Ecclesia. Il lavoro di squadra è, dunque, una sfida permanente per l’Ac, chiamata a testimoniare che la tensione dinamica tra il camminare e lo stare insieme, ‘frutto e condizione della Pentecoste’, inizia dall’ascolto dello Spirito santo, invocato con la preghiera dell’Adsumus – attribuita a sant’Isidoro di Siviglia – da osare dire, senza stancarsi, all’inizio di ogni appuntamento associativo: ‘‘Insegnaci tu ciò che dobbiamo fare, indicaci il cammino da seguire (…). Il nostro giudizio non si discosti mai dal tuo’”.
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