Stefano De Martis
Nel percorso parlamentare del disegno di legge di bilancio si dovranno sciogliere alcuni nodi che riguardano temi identitari (le cosiddette “bandierine”) delle forze politiche. E c’è da scommettere che nonostante il meticoloso sforzo di mediazione compiuto nella messa a punto del testo di partenza non si tratterà di passaggi indolori. Del resto, quando si devono prendere delle decisioni, il saldo non può essere zero. Si prenda il caso delle pensioni. Quota 100 si è rivelata un flop clamoroso. È stata scelta da pochi (da quei pochi che potevano guadagnarci o non rimetterci troppo), costerà ancora svariati miliardi nei prossimi anni e non ha consentito quella staffetta occupazionale di cui si era favoleggiato: altro che tre nuovi assunti ogni pensionato, il tasso di sostituzione è stato di circa lo 0,4. Il compromesso su Quota 102 è una toppa destinata a durare un anno, ma nel frattempo bisognerà mettere mano a un sistema che sia finanziariamente sostenibile e soprattutto equo, non scaricando tutta i costi dell’operazione sulle nuove generazioni come finora è stato fatto. È paradossale che in un Paese sempre più vecchio si ponga come problema cruciale quello di anticipare l’età della pensione e non quello di assicurare una pensione dignitosa a chi comincia a lavorare ora (o almeno ci prova).
Anche il Reddito di cittadinanza non ha funzionato come volano occupazionale, ma ha a differenza di Quota 100 ha fornito una risposta concreta, seppur parziale, a un problema reale della società italiana, reso ancor più grave dalle conseguenze sociali della pandemia. La misura scontava in origine un equivoco di impostazione, denunciato in epoca non sospetta dagli operatori del settore: la confusione tra azione di contrasto alla povertà e politiche attive del lavoro. Ora sono stati previsti dei correttivi e vedremo se in sede parlamentare andranno a buon fine.
In questi due casi e in tanti altri ambiti politicamente sensibili della manovra economica – quello fiscale, soprattutto – ai partiti è richiesto non di rinunciare alle rispettive identità, ma di metterle in campo come contributo al dialogo, con il realismo, l’efficacia e il senso di responsabilità di cui c’è bisogno come non mai in questa stagione. La contrapposizione ideologica, il muro contro muro non portano da nessuna parte e, anzi, finiscono spesso per diventare un boomerang, come ha dimostrato – al di fuori del perimetro della legge di bilancio – la vicenda del ddl Zan.
Il nostro Paese ha le carte in regola per costruire un futuro più solidale e più giusto oltre la pandemia e anche per giocare un ruolo significativo nella comunità internazionale. L’esperienza del G20 fa testo in questo senso. Non è un caso che davanti agli occhi del mondo e nell’opinione di tanti nostri concittadini l’Italia di Sergio Mattarella e Mario Draghi risulti credibile e ispiri fiducia. Le forze politiche avrebbero tutto da guadagnare nel sintonizzarsi su questo diffuso sentire invece di promuovere e rincorrere illusioni di corto respiro.
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