Alberto Campoleoni
E’ interessante il servizio dedicato da “Repubblica” al mondo della scuola nei giorni scorsi, sia per quanto rende conto di un sondaggio Swg-Italian Tech cui ha collaborato Almalaurea, sia per l’intervista collegata al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.
Proprio parlando del sondaggio, ecco una provocante fotografia riassuntiva: “Emerge, a cappello dei risultati, un dato rallegrante, per certi versi straordinario: gli italiani si sono accorti che la scuola è il bene più importante a disposizione del Paese. In questo 2021 ancora pandemico, il 72 per cento degli intervistati è d’accordo con la frase ‘di tutti i problemi che il Paese ha davanti quello della scuola e della formazione è il principale’. Ancora sette anni fa lo pensava solo il 51 per cento dei connazionali e nell’ultima stagione i cittadini consapevoli sono cresciuti di 14 punti”.
Ci voleva una pandemia. In effetti, se ripercorriamo il passato ci accorgiamo che a fianco di dichiarazioni sempre roboanti circa il ruolo della scuola nel Paese, sull’importanza della formazione dei giovani e la costruzione, attraverso di loro, del futuro ci si è scontrati sistematicamente con situazioni al limite dell’incredibile. Anzitutto una carenza di risorse croniche – con il “peso” della spesa per la scuola decisamente basso – e poi l’emergere di continue criticità: da quelle relativa alle infrastrutture – edifici insicuri, soffitti che cadono, aule insufficienti e chi più ne ha più ne metta, magari raccogliendo le denunce continue, ad esempio (ma non solo) di Legambiente – e più di recente l’evidenza dell’impreparazione rispetto al mondo digitale. La Dad della pandemia ha fatto emergere come tanti istituti (e tante famiglie, anche) non avessero reti e pc per sostenere un impegno del tutto nuovo. E questo a prescindere da un giudizio “scolastico” sulla didattica a distanza.
Adesso il “sentiment” del Paese sembra cambiato. “Puntiamo sulla scuola”, appare uno slogan più credibile, anche grazie alla nuova disponibilità di risorse economiche. E su questo ecco le parole del ministro Bianchi, nell’intervista a “Repubblica”, in riferimento al Pnrr: “Non ci sono mai stati tanti soldi per la scuola. Con due obiettivi principali: il primo investire sugli ambienti scolastici, metterli in sicurezza ma anche modificarli per una didattica più partecipata, con più laboratori, con aule in grado di adattarsi a diverse esigenze. Il secondo, permettere ai ragazzi di tutto il Paese di avere le stesse opportunità per combattere la dispersione che colpisce soprattutto il Sud. Questo vuol dire ad esempio aumentare i nidi”.
Sicurezza e bilanciamento, nel senso di superare lo storico gap italiano tra regioni diverse, che si ripercuote da sempre, ad esempio, nei risultati dei test internazionali sull’apprendimento.
C’è, infine, un’altra riflessione provocante del ministro, riportata da “Repubblica”: “I ragazzi vivono sempre connessi e con un pc, sanno fare cose importanti, ma dobbiamo dare loro la capacità critica di capirne il senso; e poi la scuola non può essere più il luogo dove apprendi le nozioni, perché le informazioni ormai sono ovunque, ma quello dove impari a distinguerle”.
Sulla questione “nozioni” si potrebbe aprire un ampio dibattito, ma non c’è lo spazio. Certo invece è che la scuola deve formare lo spirito critico, promuovere “maturità”. E anche la questione del digitale va vista in questa ottica. A margine: il ministero ha appena promosso un corso gratuito per gli studenti delle quinte superiori su cittadinanza digitale, sfide e opportunità dell’evoluzione tecnologica, sicurezza informatica e promozione di comportamenti responsabili in Rete.
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