Di Silvia Rossetti
Gli ultimi confronti sulla scuola hanno come tema le guerre puniche. È un ministro della Repubblica a intervenire per primo sull’argomento nel corso di una trasmissione tv, mettendo in evidenza il fatto che si studiano troppo e a scapito dei saperi scientifici e tecnicistici. A rispondere alla sua provocazione sono in molti, tra gli umanisti la levata di scudi è ovviamente unanime.
Il fermento e le riflessioni sulla scuola non riguardano, però, soltanto l’insegnamento della storia antica, ma anche l’abolizione o meno delle prove scritte all’esame di maturità 2022 e un certo presunto scadimento del sistema pubblico di istruzione, argomentato nel recente saggio “Il danno scolastico” (La nave di Teseo edizioni, 2021) dalla scrittrice Paola Mastrocola e dal sociologo Luca Ricolfi.
Le osservazioni sembrerebbero slegate fra di loro, ma in realtà sono intimamente connesse e soprattutto evidenziano una crescita di interesse nei confronti dell’istituzione scolastica, tesa però più a mettere in cattiva luce il lavoro che si svolge al suo interno che a offrire soluzioni per renderlo più efficace e centrato sui bisogni di una società in forte accelerazione e cambiamento.
La scuola attraversa senza dubbio un momento molto difficile: è in affanno; fatica a tenere il passo e a interpretare la trasformazione sociale ed economica del Paese; è spesso priva di risorse concrete e oberata dalle procedure e dai passaggi burocratici, amplificati questi ultimi anche dalla gestione dei nuovi protocolli sanitari anti-Covid.
Le riflessioni dissonanti che arrivano dall’esterno, però, sollecitano con forza degli interrogativi.
Qual è e quale dovrebbe essere il ruolo della scuola oggi? Come dovrebbe agire nei confronti delle migliaia di studenti che ogni mattina varcano i suoi cancelli? Di quale formazione avrebbero bisogno gli insegnanti e che tipo di approccio dovrebbero dare al proprio mestiere?
Sono domande fondanti e chiedono risposte oneste, soprattutto non ideologizzate. Ancorate quindi a dati di realtà. In gioco c’è il futuro del nostro Paese.
È vero, la nostra società assume un assetto sempre più digitalizzato e in essa i cittadini, anche semplicemente per far valere i propri diritti ed esercitare i propri doveri, hanno bisogno di apprendere delle conoscenze tecniche. È altrettanto vero, però, che la rivoluzione tecnologica ci spinge verso una piega pericolosamente consumistica. Questo consumismo non è solo un atteggiamento commerciale, ma condiziona perfino la fruizione delle informazioni, tendendo a smontare o relativizzare qualsiasi tipo di certezza.
Anche la scuola deve muoversi nella stessa direzione?
Essa dovrebbe occuparsi, prima di tutto, di strutturare nelle giovani menti l’attitudine al pensiero critico. Questa dovrebbe essere la “competenza delle competenze” da applicare in tutti i campi dello scibile. Invece, nei dibattiti sui media, si torna a scambiare lo studente per un vaso da riempire.
Che tipo di società del futuro stiamo progettando? Un luogo dove si compia in maniera definitiva il passaggio evolutivo dall’homo faber all’animal laborans? O un posto dove l’uomo continui a essere al centro di ciò che crea?
Non ha la scuola forse il dovere di essere sentinella sulle soglie del cambiamento, senza lasciarsene travolgere?
La risposta sta proprio in quelle migliaia di studenti che ogni mattina prendono posto nelle aule fra i banchi. Molti di essi hanno l’aria stordita: dallo strumento digitale vengono assorbiti e fortemente condizionati, quanti fra loro sono davvero in grado di “fruirne”?
I nostri ragazzi sono pieni di dubbi e fragilità e anche per questo motivo hanno bisogno di risposte. Occorrono loro “parole” prima di tutto per potersi esprimere ed essere compresi e poi, certo, anche per scrivere temi buoni per un esame di maturità. Restiamo impigliati nelle secche della scuola nozionistica e valutativa anche nei dibattiti o nei saggi altisonanti, che vorrebbero parlare di disuguaglianza sociale senza però averne contezza.
Certo, forse, non saranno le guerre puniche a salvarci, ma neppure un algoritmo.
Soltanto l’uomo può salvare se stesso.
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