Due Paesi, un unico messaggio: sostituire la logica dei muri e dei figli spinati con quella della fraternità e del dialogo. Da Cipro, “dove Europa e Oriente si incontrano”, e dalla Grecia, culla della cultura classica e della civiltà occidentale, Papa Francesco ha inviato un messaggio preciso all’Europa e al mondo. “Fermiamo questo naufragio di civiltà”, l’appello dall’isola di Lesbo, dove è tornato cinque anni dopo per scuotere le coscienze a partire dalla capacità di guardare negli occhi i bambini. Sotto accusa, ancora una volta , è “il cinico disinteresse che con guanti di velluto” che ignora le condizioni disumane in cui vivono i rifugiati come quelli del “Reception and Identification Centre” di Mytilene, abbracciati da Francesco uno ad uno, con i loro volti e le loro storie.
“Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge”,
il riferimento che evoca l’immagine del piccolo Aylan, il bambino siriano morto sulle spiagge turche.
“Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi”, la denuncia: “Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo ‘mare dei ricordi’ si trasformi nel ‘mare della dimenticanza’”.
Parole, queste, che fanno eco a quelle pronunciate a braccio nella chiesa di Santa Croce a Nicosia, durante la preghiera ecumenica con i migranti:
“Fili spinati per non lasciare entrare il rifugiato.
Quello che viene a chiedere libertà, pane, aiuto, fratellanza, gioia e che sta fuggendo dall’odio si trova davanti un odio chiamato filo spinato. Che il Signore risvegli la coscienza di tutti noi davanti a queste cose. Non possiamo tacere e guardare dall’altra parte in questa cultura dell’indifferenza”.
A Cipro, incontrando le autorità, il Papa ha già in mente la sorte degli ultimi, e in particolare la tragedia della migrazione: “Tutelare e promuovere ogni componente della società, in modo speciale quelle statisticamente minoritarie”, l’appello, sviluppato poi a Lesbo:
“chiusure e nazionalismi portano a conseguenze disastrose”.
“La ferita che più soffre questa terra è data dalla terribile lacerazione che ha subito negli ultimi decenni”, il riferimento alla divisione dell’isola di Cipro, che risale al 1974. L’unica via d’’uscita, per il risanamento della società, è il dialogo:
“perché c’è un potere dei gesti che prepara la pace: non quello dei gesti di potere, delle minacce di ritorsione e delle dimostrazioni di potenza, ma quello dei gesti di distensione, dei concreti passi di dialogo”.
Dialogo necessario, sotto forma di fraternità, anche nella Chiesa, il monto del primo discorso a Cipro, dedicato al clero: nella Chiesa “si discute, ma si rimane fratelli”. Nasce da qui il compito affidato da Francesco alla piccola comunità cattolica: “Con la vostra fraternità potete ricordare a tutti, all’Europa intera, che per costruire un futuro degno dell’uomo occorre lavorare insieme, superare le divisioni, abbattere i muri e coltivare il sogno dell’unità”. “Essere minoritari – e nel mondo intero la Chiesa è minoritaria – non vuol dire essere insignificanti, ma percorrere la via aperta dal Signore”, le parole rivolte alla comunità cattolica di Atene, incontrata nella cattedrale di San Dionigi.
“Cipro, crocevia geografico, storico, culturale e religioso, ha questa posizione per attuare un’azione di pace”, la tesi di Francesco spiegata alle autorità: “Sia un cantiere aperto di pace nel Mediterraneo”.
E proprio da Cipro Bergoglio lancia un messaggio all’Europa: “Il continente europeo ha bisogno di riconciliazione e unità, ha bisogno di coraggio e di slancio per camminare in avanti. Perché non saranno i muri della paura e i veti dettati da interessi nazionalisti ad aiutarne il progresso, e neppure la sola ripresa economica potrà garantirne sicurezza e stabilità”. Ed è sempre l’Europa il destinatario del discorso del Papa alle autorità greche da Atene, patria della democrazia: “Questo Paese, improntato all’accoglienza, ha visto in alcune sue isole approdare un numero di fratelli e sorelle migranti superiore agli abitanti stessi, accrescendo così i disagi, che ancora risentono delle fatiche della crisi economica. Ma anche il temporeggiare europeo perdura: la comunità europea, lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune volte appare bloccata e scoordinata”. Di qui l’appello “a
una visione d’insieme, comunitaria, di fronte alla questione migratoria,
e incoraggiare a rivolgere attenzione ai più bisognosi perché, secondo le possibilità di ciascun Paese, siano accolti, protetti, promossi e integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità. Più che un ostacolo per il presente, ciò rappresenta una garanzia per il futuro, perché sia nel segno di una convivenza pacifica con quanti sempre di più sono costretti a fuggire in cerca di casa e di speranza”.
“E’ di speranza che sono assetati oggi i deserti del mondo”,
spiega il Papa nella Messa alla Megaron Concert Hall di Atene, davanti ad oltre duemila persone. “Sognate la fraternità”, l’imperativo consegnato ai giovani greci, incontrati nella scuola delle Orsoline nell’ultimo appuntamento pubblico del viaggio in Grecia. “Il senso della vita non è restare sulla spiaggia aspettando che il vento porti novità”, ha ammonito Francesco evocando la figura di Telemaco, controcorrente in un ondo come quello di oggi, dove “tanti oggi sono molto social ma poco sociali”: “La salvezza sta in mare aperto, sta nello slancio, nella ricerca, nell’inseguire i sogni, quelli veri, quelli ad occhi aperti, che comportano fatica, lotta, venti contrari, burrasche improvvise. Ma non lasciarsi paralizzare dalle paure, sognare in grande! E sognare insieme!”.
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