Michele Luppi
Quello di Raoul Follereau è un nome che rischia di non dire molto, soprattutto ai più giovani, così come la lebbra, la malattia a cui il giornalista e poeta francese (nato a Nevers sulla Loira nel 1903) ha dedicato tutta la sua vita. Perché in fondo parlare lebbra oggi sembra anacronistico, un salto fuori dal tempo che ci spinge a scavare nelle pieghe della storia fino a riemergere in qualche passo della Bibbia o in racconti medioevali (basti pensare alla conversione di San Francesco).Eppure non solo c’è chi continua a ricordare Follereau, ma si impegna per portarne avanti instancabilmente il suo messaggio perché la lebbra e, soprattutto, lo stigma dell’emarginazione non sono affatto sconfitti.È il caso di Aifo, l’Associazione italiana amici di Raoul Follereau, unica Ong italiana partner dell’Organizzazione mondiale della sanità, che proprio quest’anno festeggia i 60 anni dalla sua fondazione. “È vero la lebbra non è oggi quella del passato, ma è ancora presente in molti Paesi in via di sviluppo con circa 250 mila nuovi casi all’anno: oggi questa infermità è inserita dall’Oms nel contesto delle cosiddette malattie tropicali dimenticate ovvero una ventina di diverse patologie che coinvolgono 1 miliardo di persone nel mondo di cui 500 milioni sono bambini”, racconta al Sir Antonio Lissoni, presidente di Aifo.
Nella Bologna del cardinal Lercaro. L’associazione nasce a Bologna – dove ha tutt’ora la sua sede – nel 1961 per volontà di un gruppo di missionari comboniani e volontari, ispirati dal messaggio di amore e giustizia di Raoul Follereau. Era la Bologna del cardinal Giacomo Lercaro che conosceva e stimava il giornalista francese, come ha ricordato recentemente il cardinal Zuppi nel corso di un convegno che si è tenuto proprio a Bologna per il sessantesimo della fondazione.
Il giornalista francese era entrato per la prima volta in contatto con i malati di lebbra nel 1936 durante un viaggio di lavoro in Africa e da quel momento aveva deciso di dedicare tutta la sua vita alla lotta contro tutte “le lebbre”. Compie 32 volte il giro del mondo, lavorando instancabilmente per migliorare la qualità della vita delle persone colpite dalla malattia.Il tutto animato da una profonda fede e da una capacità espressiva che fece diventare i suoi testi, a metà strada tra poesia e preghiera, un vero e proprio cult per un’intera generazione come nel caso del celebre “il libro dell’amore”.
Un messaggio modernissimo. Spiega Lossini:“Il messaggio di Follereau è ancora oggi modernissimo. Il suo interesse principale infatti non era combattere la lebbra, ma curare le persone, non farle sentire sole ed emarginate.Per questo lui invitava a guardare a “tutte le lebbre” indicando con questo termine un’estensione del concetto di fragilità. Nei Paesi poveri questo significava combattere la fame, migliorare l’igiene e i servizi sanitari, sviluppare l’accesso all’istruzione. Il suo era un approccio che oggi chiamiamo di “salute globale” davvero modernissimo. Ma nei suoi scritti puntava il dito anche contro le fragilità dei Paesi ricchi, evidenziando soprattutto il male dell’egoismo e dell’individualismo”. Solo partendo da questa prospettiva si comprende come, nel corso di questi sessant’anni, l’impegno di Aifo sia potuto cambiare radicalmente, ma rimanendo sempre fedele a se stesso.
“In questi anni – continua il presidente –Aifo è passata da essere un’associazione di volontari che producevano bende per i lebbrosi da inviare in terra di missione ad essere l’unica organizzazione italiana partner dell’Organizzazione mondiale della sanità”.
Una Ong impegnata con circa 50 progetti in una dozzina di Paesi del mondo tra Africa, Asia e America Latina.
La sfida della pandemia. “Da alcuni anni – continua Lissoni – stiamo lavorando soprattutto nell’ottica del partenariato che credo sia la strada del futuro: l’idea non di fare qualcosa “per”, ma di fare qualcosa “con”, di permettere alle comunità locali di diventare protagonisti. È un cambio di mentalità in cui crediamo molto e che svilupperemo sempre più in futuro”.
Un impegno che, come nel caso di molte Ong, è stato ostacolato dalla pandemia. “Purtroppo gli ultimi due anni sono stati duri – conclude il presidente di Aifo -: il blocco o rallentamento dei voli ha impedito ai nostri operatori di muoversi liberamente per raggiungere le comunità locali dove sono in corso i progetti. Le donazioni sono calate del 25 per cento e la momentanea sospensione dei bandi da parte dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo ci ha creato qualche difficoltà. Questo a fronte di bisogni che sono diventanti ancora più pressanti proprio a causa del Covid e delle sue conseguenze sui sistemi sanitari.Ora speriamo di poterci risollevare: il prossimo 30 gennaio 2022 sarà la Giornata mondiale dei Malati di Lebbra e, Covid permettendo, torneremo con i banchetti in molte parrocchie italiane (dove negli ultimi anni siamo stati assenti per colpa della pandemia).Sarà per noi un ulteriore segno di ripartenza”.
La missione è quella di mantenere vivo il sogno di Follereau che nel suo testamento scriveva: “‘Signore, vorrei tanto aiutare gli altri a vivere’, Questa fu la mia preghiera di adolescente. Credo di esserne rimasto, per tutta la mia vita, fedele…Ed eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta. Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l’ultima ambizione della mia vita, e l’oggetto di questo ‘testamento’“.
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