DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Oggi la liturgia ci pone dinanzi una Parola che non ha bisogno di alcun commento.
Leggiamo insieme il Vangelo: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica».
«Amate i vostri nemici»: l’originale latino del verbo amare qui usato è “di-legere”, cioè scegliere con cura qualcosa per averne un’attenzione speciale.
La cura, l’attenzione speciale hanno una misura precisa, quella della misericordi, cioè, lo abbiamo appena letto, il cuore donato a quelli che ci odiano, ci maledicono, ci trattano male, ci percuotono sulla guancia, ci strappano il mantello.
Eh sì, continua Gesù nel Vangelo, perché «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso».
Non vogliamo dare troppe spiegazioni: questo brano evangelico, lo dicevamo all’inizio, si commenta davvero da solo e superflua sarebbe ogni nostra parola.
Ma c’è un’intuizione di Francesco d’Assisi che potrebbe aiutarci a calarci concretamente in questo contesto per noi complicato e arduo da digerire. In una delle esortazioni fatte ai suoi frati, Francesco parla così: “Dice il Signore nel Vangelo: Amate i vostri nemici…veramente ama il suo nemico colui che non si duole dell’ingiuria che gli è fatta, ma brucia del peccato dell’anima di lui per amore di Dio e gli mostra amore con i fatti”.
Innanzitutto Francesco ci chiede di scrutare dentro il nostro cuore: se grandi sono il dolore o la rabbia per il comportamento del fratello-nemico, prima di adottare qualsiasi strategia per superare quella situazione, occorre aspettare fino a sentire che non ci si duole più per l’ingiuria che l’altro ci fa. Ma come si può giungere a questa serenità di cuore? La risposta è posta nel secondo verbo: occorre vivere nell’intimo la passione per la sofferenza che attanaglia il fratello: egli, infatti, per il suo peccato che lo ha trasformato in nemico, sta portando alla morte la sua anima, sta uccidendo la sua stessa identità di uomo e fratello.
Senza questi atteggiamenti di partenza, non riusciremo mai a pensare e mettere in pratica nulla di quanto il Signore ci chiede e tutto si risolverebbe nello sforzo estemporaneo di un momento e non in un atteggiamento fondante di vita.
A questo punto, l’unica cosa che può cambiare il cuore del fratello, ci dice infine Francesco, è la notizia dell’amore nutrito nei suoi confronti, cioè del dolore che si prova non per la ferita ricevuta ma per la situazione di povertà e di morte in cui egli si trova. Tale notizia, incarnata nelle opere, è l’unico olio di misericordia che può guarire.
E’ la scelta di Davide, lo leggiamo nella prima lettura. Ha a portata di mano l’uomo che lo vuole morto, il re Saul ma fa la scelta di non porre fine alla sua vita. «Il Signore – dice- renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà».
E come sono la giustizia e la fedeltà di Dio? Lo canta il salmista, e lo cantiamo anche noi insieme a lui: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe. Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono».
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