Daniele Rocchi
“Risolvere i problemi con le armi per sopraffare l’altro non è la strada da seguire. Qui in Bosnia-Erzegovina (Bih) abbiamo sperimentato il pane amaro della guerra, dei profughi, l’orrore della pulizia etnica. Sappiamo bene cosa significa e siamo vicini al popolo ucraino. Preghiamo che finisca presto la guerra”: don Miljenko Anicic, è il direttore della Caritas della diocesi di Banja Luka. Lo incontriamo nel suo ufficio nella capitale della Repubblica Srspka, per farci raccontare l’impegno della Caritas durante la guerra in Bosnia, scoppiata a
marzo di trenta anni fa. Ma prima il suo pensiero corre all’Ucraina dove, dice, “vedo diverse analogie con quanto è avvenuto da noi in Bosnia: attacchi alle abitazioni, alle persone, maltrattamenti e torture, assedi, bombardamenti, uccisioni deliberate. La gente in fuga”. Il rischio che la Bosnia possa diventare un altro fronte di guerra non è così remoto, per il sacerdote, anche alla luce delle spinte ‘secessioniste’ manifestate in diversi momenti da Milorad Dodik, uno dei tre presidenti della Bosnia (Bih), rappresentante dell’etnia serba, capo del partito indipendentista Snsd (Alleanza dei socialdemocratici indipendenti), molto vicino alla Russia di Vladimir Putin che foraggia le fazioni più nazionaliste dei serbo-bosniaci. Insomma, i serbo-bosniaci della Repubblica Srpska come i separatisti filorussi del Donbass. Se quella russa nei Balcani occidentali sia solo una provocazione lo si vedrà, certa è l’intenzione del Cremlino di giocare in questa area di tensioni sempre vive, un ruolo al pari dell’Ue, degli Usa e della Nato. “Quella percorsa da Dodik è una strada pericolosa. Lo scopo della propaganda politica e dei media allineati è creare tensioni. Probabilmente non si arriverà a decretare l’indipendenza della Repubblica Srspka, ma intanto lo stallo politico si riflette sulla società. Dobbiamo continuare a dare aiuto e sostegno alla popolazione. Non ci siamo mai fermati dallo scoppio della guerra”.
La pulizia etnica. Le immagini di oggi si sommano ai ricordi di ieri con una certezza su tutte: “a Banja Luka non possiamo parlare di vera guerra ma di pulizia etnica, una delle espressioni più crudeli del conflitto in Bosnia”. A danno dei croati cattolici.
“All’inizio c’è stata la persecuzione delle persone, delle minoranze, non solo croate, poi è toccato ai sacerdoti, religiosi e suore, catturati, uccisi, malmenati, chiese distrutte. Gente che ha subito danni e ruberie dai propri vicini. I cattolici da qui dovevano andarsene”
spiega don Anicic che, con un mezzo sorriso dal sapore amaro, aggiunge: “Ciò che è paradossale è che, in quel tempo, mentre si facevano saltare in aria le nostre chiese alla Caritas veniva permesso di portare aiuto e lavorare. La Caritas sempre aperta, come oggi, a tutti senza distinzioni, a gente che chiedeva da mangiare, aiuto a fuggire, consigli soprattutto a tanti giovani”.
“Aiutando cercavamo di mostrare che stare insieme era possibile senza odiarsi”.
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