Di Daniele Rocchi
“Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli della esaltazione di san Benedetto Abate. Al crollare dell’Impero Romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una nuova èra”.
Usa le parole della Lettera apostolica “Pacis Nuntius” – con cui papa Paolo VI proclamò san Benedetto abate “patrono principale dell’intera Europa” – dom Gregory Polan, abate primate dell’Ordine di San Benedetto, per ricordare al Sir tutta l’attualità del messaggio benedettino. La lettera apostolica venne diffusa il 24 ottobre 1964 in occasione della riconsacrazione dell’abbazia di Montecassino che, distrutta nel 1944 durante il Secondo conflitto mondiale, fu ricostruita “dalla tenacia della pietà cristiana”.
Messaggero di pace. Oggi 11 luglio, giorno in cui la Chiesa celebra il santo nativo di Norcia, l’abate primate, capo della Confederazione Benedettina, ribadisce che “san Benedetto è patrono e messaggero di pace. Oggi in tutti monasteri benedettini è solito vedere la parola Pax, pace, campeggiare all’ingresso. Nell’esperienza benedettina la pace è coniugata con un altro termine, caro a san Benedetto: ospitalità”. Nel capitolo 53 della Regola san Benedetto scrive: “Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: ‘Sono stato ospite e mi avete accolto’, e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini”.
“I monasteri in Europa – spiega padre Polan – hanno sempre offerto ospitalità e ristoro a chi era di passaggio e nel bisogno. Ieri come oggi. Lo vediamo in Ucraina dove abbiamo 4 monasteri tutti aperti agli sfollati e alle famiglie vittime della guerra. Anche i monasteri nei Paesi confinanti stanno ospitando i profughi dell’Ucraina. Ogni anno, gli abati presidenti delle nostre 19 congregazioni si ritrovano in un monastero per un incontro. Quest’anno avevamo scelto l’abbazia benedettina di Tyniec, vicino Cracovia (Polonia) ma l’abate ha telefonato dicendo che non si poteva più andare perché hanno accolto 10 famiglie di ucraini”.
Restaurare l’Europa. Lo “sguardo paterno” di san Benedetto oggi, dopo oltre 1500 anni, si stende sull’Europa anche con i suoi richiami al lavoro e all’importanza del giusto salario. “La pandemia prima e la guerra adesso – ricorda l’abate primate – hanno fatto ripiombare l’Europa, e non solo, nella crisi economica con innegabili ripercussioni anche sul lavoro. Benedetto – ricorda l’abate citando ancora la ‘Pacis Nuntius’ – ‘unendo la preghiera al lavoro materiale, secondo il suo famoso motto ‘ora et labora’, nobilitò ed elevò la fatica umana. Giustamente perciò Pio XII salutò san Benedetto ‘padre dell’Europa’; in quanto ai popoli di questo continente egli ispirò quella cura amorosa dell’ordine e della giustizia come base della vera socialità”. Segno evidente di questa impronta è “il lavoro di tantissimi monasteri nel campo agricolo per dare sostegno e aiuto a chi ne ha bisogno, condividendo il raccolto”.
L’esperienza dell’aratro e dunque del lavoro si completa con quella dello studio – altro messaggio attuale di san Benedetto –, del libro, della cultura: “San Benedetto salvò l’enorme patrimonio umanistico e la tradizione classica degli antichi trasmettendola grazie agli ‘scriptoria’ presenti nei monasteri. Restaurò – come scrive Paolo VI – il sapere in un tempo in cui tutto stava cadendo”. “Oggi, dopo più di 1500 anni – conclude l’abate Polan – san Benedetto con la sua opera ci indica il percorso da seguire per restaurare un’Europa caduta nel buio della guerra e della perdita dei valori fondamentali. Temi come la vita, la giustizia, la pace, il lavoro, la libertà, la tolleranza devono tornare ad essere le vie maestre per il Vecchio Continente”.
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