di Gian Matteo Roggio
La risurrezione di Maria, ossia la sua assunzione nella gloria, è un’ulteriore tappa della vita e della vocazione di questa donna che la Provvidenza ha scelto come Madre del Verbo incarnato e Redentore. Ella, pienamente redenta e salvata in tutta la sua realtà umana (anima e corpo), grazie alla fede che ha modellato la sua intera esistenza terrena e la stessa morte che di tale esistenza è il termine, dopo aver lasciato questo mondo, viene donata ai credenti in Cristo e all’intera umanità come segno di consolazione e di sicura speranza: presenza vera, vivente, personale e materna, chiamata ad annunciare, insieme alla Chiesa, nella Chiesa e come Chiesa, il mistero pasquale del Cristo, lui stesso autore e causa della risurrezione e del perdono dei peccati che essa inaugura ed effonde nella storia umana, perché possa convertirsi da espressione del “cainismo” (lo spirito omicida di Caino, come ripete spesso Papa Francesco) a cammino di riconciliazione, di incontro, di dialogo, di fraternità, di pace.
Con la sua risurrezione, Maria diventa quindi inseparabile dalla storia delle singole persone, dei popoli, delle loro culture, che testimoniano ciascuno questo reciproco incontro nelle forme e nei modi più diversi; inseparabile dalla loro aspirazione ad una vita migliore perché più umana e piena dello Spirito di Dio, il “maestro dell’armonia” (Papa Francesco) che si fa garante di un mondo non appiattito sul colonialismo culturale del “pensiero unico”, ma piuttosto aperto alla ricchezza della poliedricità.
Con la sua risurrezione, Maria diventa egualmente inseparabile dalle sofferenze e dalle angosce che avvolgono l’esistenza dei singoli e dei popoli; e proprio all’interno di tali situazioni, dando voce e visibilità agli “scartati” resi tali dalla cultura della paura, della violenza e della morte, ella non smette di far risuonare, come vero e proprio “segno di contraddizione”, la “sapienza della croce” che non cerca colpevoli (veri, presunti, immaginari) ma propone un amore fattivamente benevolo, scandalosamente esteso a chi si comporta da nemico e provoca la distruzione delle persone e della stessa “casa comune” che è il pianeta; un amore capace di “disertare”, come diceva don Tonino Bello, il pensiero dei potenti, la loro propaganda e i loro eserciti, per abbracciare invece l’umiltà, vale a dire “il terreno, l’unico, dove lei spera che un giorno, ricomposti i conflitti, tutti i suoi figli, ex oppressi ed ex oppressori, ridiventati fratelli, possano trovare finalmente la loro liberazione” (Maria, donna dei nostri giorni).
Infatti, “in lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché ‘ha rovesciato i potenti dai troni’ e ‘ha rimandato i ricchi a mani vuote’ (Lc1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia […]. Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione” (Evangelii gaudium, 288).
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