SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Non dobbiamo chiederci ‘Chi sono io?’, bensì ‘Per chi sono io?‘. È questo un interrogativo che dovrebbero porsi tutte le generazioni. Rispondendo a questa domanda, ci renderemo conto che non possiamo mettere i remi in barca: se perdiamo i sogni noi anziani, infatti, i nostri giovani perderanno una visione.” – Possiamo riassumere in questo modo il tema centrale dell’incontro avvenuto domenica sera, alle ore 21:30, presso la Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto, con mons. Vincenzo Paglia, attuale Presidente della Pontificia Accademia per la Vita e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio, che ha presentato la sua ultima fatica letteraria dal titolo “L’età da inventare – La vecchiaia tra memoria ed eternità”. Presenti all’evento l’assessora alla Cultura della città rivierasca, Lina Lazzari; l’ex sindaco ed ex consigliere regionale Paolo Perazzoli; il vescovo della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto delle Marche, mons. Carlo Bresciani, che ha dialogato con l’autore.
La serata si è aperta con il saluto dell’assessora Lazzari: “Il tema che affronteremo stasera mi è particolarmente caro. Siamo abituati a pensare agli anziani o come malati relegati in apposite strutture o come persone che si sentono ancora in forma e mostrano la giovinezza che cercano di trattenere. Un tempo, invece, erano portatori di valori.” La Lazzari ha anche rivelato la sua personale idea della vecchiaia, riportando le parole di una persona anziana a lei cara, la quale, ignara di farlo, a sua volta riportava i versi parafrasati dell’evangelista Giovanni: ‘Quando ero giovane, mi cingevo la veste da sola e andavo dove volevo. Ora, che sono anziana, altri mi tendono la mano per vestirmi e mi portano dove io non voglio.’”
A seguire anche il saluto dell’ex sindaco Perazzoli, qui in veste di presidente del Club degli Incorreggibili Ottimisti: “Appena ho saputo che mons. Paglia aveva scritto un altro libro, ho subito pensato di organizzare questo incontro. Tante sono le ragioni per cui ho desiderato farlo: prima di tutto per il valore dell’ospite, poi per la centralità del tema trattato ed infine anche per interesse personale, vista la mia età. Ho letto il libro con una certa aspettativa che – devo dire – non è stata delusa! È un libro di proposte, che narra un nuovo pensiero, una nuova cultura per un problema inedito.” Perazzoli poi, da uomo della politica – quale è stato – ha sottolineato due aspetti affrontati nel libro che riguardano la sfera pubblica, ovvero prima la salute (e quindi la sanità) e poi la casa, auspicando risposte concrete e tempestive dalle istituzioni.
L’incontro è poi entrato nel vivo con il dialogo che i due vescovi hanno amabilmente intessuto. In particolare Bresciani ha chiesto a Paglia perché la vecchiaia sia un’età da inventare. Questa la risposta dell’illustre ospite: “Nella storia dell’umanità non è mai esistito un popolo così numeroso di anziani: in Italia ci sono 14 milioni di anziani che hanno più di 70 anni; eppure non c’è un pensiero politico, economico, sociale né spirituale dedicato a loro. Siamo un popolo sconosciuto! Se ci pensate bene, quanto inchiostro per l’infanzia, per i giovani e anche per l’età adulta! Trattati di psicologia, economia, filosofia che riempiono biblioteche enormi per i primi 30 anni di vita e per i 30 anni di lavoro; invece, per gli ultimi 30 anni, cosa c’é?! Nulla o quasi! Il primo errore che facciamo è l’idea che abbiamo della vecchiaia. Dobbiamo restituirle importanza e dignità. Pensate che il lavoro dei nonni, se fosse retribuito, varrebbe come una finanziaria! Chi se ne è accorto?! Nessuno! In un mondo in cui i genitori vanno sempre di fretta e non hanno tempo di stare con i figli, al contrario, gli anziani curano i sentimenti dei nipoti, dedicando loro del tempo e riservando loro amore ed affetto. Il lavoro spesso ci rende macchine anaffettive. Per fortuna che i nonni riempiono questa lacuna! Dobbiamo dunque sconfiggere il pregiudizio che, come diceva De Gaulles, la vecchiaia sia un naufragio e comprendere, invece, che ogni età ha la sua bellezza e la sua fatica.”
Sollecitato dal vescovo Bresciani, Paglia ha proseguito: “È vero che la vecchiaia fa paura, perché porta spesso alcune malattie, ma una delle missioni grandi che dobbiamo portare avanti noi adulti è comprendere che tutti siamo fragili: bambini, giovani, adulti e anziani. Noi cristiani, in questo, abbiamo un compito importante. Non possiamo avere il sogno della salute per tutto; dobbiamo, al contrario, imparare ad accettare le fragilità di ogni età e aiutarci gli uni gli altri tra noi e tra generazioni. Da soli, non si va da nessuna parte. Anzi la solitudine è un virus peggiore del Covid. Pensate ad un palazzo a quattro piani in cui non ci sono né scale né ascensori: c’è, senza dubbio, un problema di incomunicabilità. Così siamo noi: bambini, giovani, adulti ed anziani che non si parlano, che non comunicano tra noi. L’alleanza tra le generazioni, di cui parla papa Francesco, passa da qui. Ecco, allora, che, se teniamo ben presenti queste considerazioni, noi anziani siamo una forza enorme e non possiamo mettere i remi in barca: se perdiamo i sogni, infatti, anche i nostri giovani perderanno una visione. Noi possiamo offrire tutta la nostra vitalità per le altre generazioni (i nipoti, i figli) e anche per i nostri coetanei che non stanno bene in salute. Dobbiamo inventarci subito qualcosa da fare, per il bene nostro e dell’intera umanità. Per fare questo è necessaria anche una certa creatività, da parte nostra e da parte delle istituzioni. Il governo italiano deve capire che vanno pensati interventi per gli anziani, non a prestazione, ma in modo continuativo e con una progettualità non occasionale, bensì permanente. È necessaria una nuova visione politica, economica e sociale dell’anziano.”
Alla luce di quanto ascoltato, mons. Bresciani ha poi stimolato mons. Paglia a spiegare in che senso l’anziano possa essere considerato un dono per la Chiesa. Queste le parole di Paglia: “Il primo dono che noi anziani possiamo fare all’umanità è quello di ricordare a tutti che la vita non finisce. Siamo abituati a pensare sempre al futuro. Quando eravamo piccoli, volevamo diventare ragazzi; quando eravamo finalmente giovani, volevo diventare più grandi; quando eravamo adulti, volevamo diventare anziani; ora che siamo vecchi, smettiamo di desiderare?! No! Io, razionalmente e culturalmente, non accetto che tutte le bellezze, gli affetti che abbiamo realizzato e costruito nella nostra vita, vengano meno. Seneca, che non era neanche cristiano, diceva che la morte è un passaggio. E noi, che siamo cristiani, non lo diciamo?! Come all’inizio c’è stato il passaggio dal grembo di nostra madre alla luce del mondo, così ci sarà una seconda nascita, che sarà altrettanto traumatica, ma sarà quella del compimento, della destinazione. Questa idea mi sembra più ragionevole della secca ragione che mi dice che non c’è nulla! Dopo la morte noi non saremo solo spirito, ci rivedremo, ci riconosceremo, mangeremo insieme, come ha fatto Gesù risorto. Credo che, quello che di bello facciamo in vita, verrà perpetuato nell’eternità. Insomma il meglio deve ancora venire!”
“Ecco allora – ha concluso Paglia – che il legame tra noi è importante tanto quanto il rapporto con Dio. Questa dimensione del noi, che ci libera dalla tirannia dell’io, va costruita subito. Altrimenti non ci salveremo. Infatti, non ci si salva da soli, bensì insieme. Se non iniziamo a costruire un po’ di Paradiso già qui, ora, su questa terra, non ci salveremo.”
All’idea comune di un’età caratterizzata dalla malattia, dalla solitudine o dall’inoperosità, mons. Paglia dunque preferisce l’idea della vecchiaia come un tempo importante dell’esistenza, in cui è possibile edificare e cementare legami, ascoltare e riflettere, ma soprattutto donare alla comunità un grande contributo in termini di memoria e speranza, con uno sguardo rivolto al passato e uno sguardo proiettato al futuro.
Intervistato infine da noi in merito al suo soggiorno sambenedettese, mons. Paglia ha dichiarato ai nostri microfoni: “Il soggiorno è stato breve, ma molto intenso. Sono grato al vescovo Carlo che è venuto a presentare la mia opera, un libro che ha trovato una consonanza con questa splendida cittadina che mi ha affascinato per il suo lungomare, ma anche per la vitalità e l’attenzione su un tema che riguarda tutti, in particolare agli anziani.” E a tutti i nostri lettori ha rivolto questo messaggio: “A tutte le generazioni, ai più piccoli, ai giovani, agli adulti e agli anziani, che, grazie a Dio, viviamo insieme tutti. Dobbiamo evitare di separarci, di dividerci; al contrario, dobbiamo arricchirci incontrandoci, dandoci una mano, stando insieme gli uni gli altri. Non si può, infatti, vivere soli. Allora scegliamo di vivere insieme, perché l’amicizia tra le generazioni assicura un futuro bello a tutte le generazioni.”
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