“La situazione è triste e preoccupante perché non si sa dove sta andando il nostro Paese. Credo, comunque, che il leader politico e religioso sciita, Muqtada al Sadr, abbia fatto un gesto pacifico invitando i suoi fautori ad abbandonare la violenza e lasciare la Zona Verde che era stata occupata. Si tratta di un appello che tutti hanno apprezzato, presidente e primo ministro, in testa. Ora tocca agli altri gruppi sciiti fare un passo, un sacrificio per il bene del Paese e del suo popolo”.
Così il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, commenta al Sir gli scontri di questi giorni – tra fazioni sciite filo e anti-iraniane – nella capitale irachena. Almeno 24 i morti e decine di feriti il bilancio di due giorni di manifestazioni violente che sono il frutto di una crisi istituzionale iniziata mesi fa, dalle ultime elezioni politiche, lo scorso ottobre, i cui risultati non hanno permesso, fino ad ora, la composizione di un nuovo Governo. Sullo sfondo le divergenze sulla posizione da assumere riguardo proprio all’Iran. Il patriarca caldeo dice di “non vedere un rischio di guerra civile, anche perché tutti hanno visto e patito le conseguenze di quanto sta accadendo in questi giorni, con decine di morti e feriti. Si tratta di una grande perdita per il Paese”. Tuttavia mostra grande preoccupazione perché, rimarca, “se si prosegue su questa china non ci sarà futuro per l’Iraq”. La ricetta di Mar Sako per uscire dal vicolo cieco attuale è sempre la stessa, propugnata da anni e in diverse occasioni: “cercare il dialogo, con coraggio, pensare al bene pubblico, alla vita e alle speranze della nostra gente irachena. Ma soprattutto creare l’unità nazionale. L’Iraq non è un negozio che tutti aspirano ad avere per sé”. “Il dialogo – spiega – deve essere ricercato all’interno dei diversi partiti e anche all’esterno, con i Paesi vicini, con i quali dobbiamo avere buoni rapporti. In questo modo sapremo salvaguardare la nostra sovranità e l’identità irachena. Questa è un’altra priorità. Non possiamo essere fedeli ad un Paese piuttosto che ad un altro, dobbiamo, invece, mantenere rapporti diplomatici rispettosi con tutti. Non devono esserci ingerenze nella vita interna dell’Iraq. Cercare il nostro bene e rispettare quello degli altri”. La formazione di un nuovo governo, che manca dalle elezioni del 2021, “passa attraverso l’unità nazionale del Paese” è la convinzione ribadita dal patriarca caldeo. “Le divisioni – riconosce senza giri di parole – sono un po’ dappertutto, tra sciiti, sunniti, curdi. Divisi non si va da nessuna parte, ogni gruppo deve assumersi le proprie responsabilità”. Anche i cristiani, ai quali riserva un monito: “Dobbiamo dare il nostro apporto con una sola voce, senza divisioni: innanzitutto mostrando il coraggio di rimanere qui per affrontare le sfide del Paese. Dobbiamo testimoniare la speranza cristiana: non siamo soli, siamo parte del popolo iracheno e per questo siamo chiamati a lavorare per il dialogo, la riconciliazione, senza attendere che siano gli altri a risolvere i problemi nazionali. Non dobbiamo restare neutrali perché anche noi siamo parte di ciò che accade”. “L’unità dell’Iraq è la priorità – conclude – ogni iracheno faccia un sacrificio e se necessario anche di più. A cominciare dalla classe politica. Il bene del Paese viene prima degli interessi di parte. Ricordiamolo sempre”.
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