Cristiana Dobner
“Il gusto della vita”, come per i due discepoli di Emmaus, è per noi, un dono che attende solo di essere accolto: vogliamo lasciar tessere la nostra vita da quel Pane che è Egli stesso per noi.
La manna non è soltanto un racconto, o peggio un aneddoto biblico, è un evento che si può toccare con mano perché avvenuto nella realtà, perché volto a lodare l’Altissimo che soccorre quando ormai tutto viene a mancare.
I botanici ci insegnano che molte piante producono la manna, cioè una sorta di lattice ma il popolo d’Israele non l’aveva mai conosciuta e, ancor meno, non l’aveva mai mangiata. Dovette quindi apprendere a riconoscere la manna, a raccoglierla quando fosse protetta dai due strati di rugiada, per poi giungere a quella soglia così ardua per ogni persona umana: imparare a non conservare, a non ammassare per sentirsi al sicuro, per poter contare su di sé e dirsi: “Ne ho per un tempo lungo”.
Chi agisce così ha assimilato e fatta propria la mentalità del business, del marketing, degli affari e dei guadagni che, pare, mettano al sicuro l’esistenza.
Ben altro è richiesto a chi segue l’Altissimo: accettare da Lui quanto ti offre, giorno per giorno, e affidarti credendo che Egli non ti mancherà mai, in qualsiasi momento, in qualsiasi circostanza.
Non è immediato avvertire, magari anche in anticipo, i morsi della fame, i richiami della propria fisicità e dirsi: “Se oggi mi sono nutrito, Egli è Padre generoso e mi provvede tutto, anche per il futuro”. Si insinua un terribile e devastante dubbio: “…ma forse domani non potrebbe smettere di esserLo?”.
L’angoscia del domani e il controllo su di sé patiscono uno scacco matto ben conosciuto: tu raccogli, metti da parte, valuti le tue risorse ma non puoi valutare e, tanto meno, prevedere quanto in realtà accade o accadrà. Tant’è vero che l’indomani la tua riserva pullulerà di vermi.
Secoli sono passati e ancora noi non ci crediamo e poniamo sempre davanti la nostra capacità di valutazione, di conoscenza della storia e di ogni vicenda umana, dimenticando che siamo sempre solo secondi e che il primo è sempre Colui che ci ha creati e salvati.
Manna salutare e salvifica se presa dalle Sue mani. Affidata alle nostre mani, quando vogliono essere indipendenti ed assolute, verminose.
La tradizione dei Maestri d’Israele ci insegna che lo sguardo dell’Altissimo era già chino sul suo popolo ben prima che sperimentasse l’indigenza dell’attraversata del deserto, perché la manna era una delle dieci cose da Lui create al crepuscolo della vigilia del primo Shabbat: aveva un sapore come il pane per i giovani adulti, di pasta impastata nell’olio per gli anziani e di pasta fritta nel miele per i bambini.
Manna sempre per noi il Pane eucaristico.
Solo quando il pane viene spezzato diventa il Pane, solo quando ci lasciamo spezzare aprendoci all’accoglienza, al servizio degli altri e così vengono spezzate quelle nostre radicatissime fibre di egoismo che ci abitano, solo allora può germinare la pace, quella vera e non si insinua quel silente clima che prelude alla guerra, alla divisione, alla sopraffazione che poi sfocia, irrimediabilmente, in un conflitto che mira solo a conquistare e ad uccidere.
Matera e sassi, arte e antichità, stupore per la civiltà, per la popolazione e per la natura che si rivela sempre diversa e straordinaria.
Guardando queste masse pietrose, possiamo dirci: da sassi a pietre vive.
Pietre che pulsino di ardore, di vitalità perché radicate in Colui che è la Pietra viva, nostra Pace.
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