Di Angelo Scappacerca

Due sono i miracoli in Luca: quello del centurione e questo della vedova e del figlio morto: l’annunzio è per tutte le genti, e questo annunzio è la resurrezione dei morti.

Nain, nella bassa Galilea, era vicina al luogo dove Eliseo aveva risuscitato il figlio della donna che lo aveva ospitato. Questo Vangelo precede immediatamente le parole di Gesù agli inviati di Giovanni: “I morti risuscitano”. Gesù ha cuore e “viscere di misericordia” per le vedove e i loro figli, come già lo furono i profeti Elia ed Eliseo.

La vedova è l’icona della povertà: senza sostegno del passato (il marito), senza quello futuro (il figlio). È come l’umanità dinanzi al Signore che “ne ebbe compassione”. La capacità di compatire fa di Gesù il Signore per il potere datogli dal Padre sulla stessa morte.

Gesù vede, ha compassione e si avvicina. È lui il buon Samaritano. È come il Padre del figlio prodigo che previene le richieste e interviene al di là di ogni merito. Soprattutto, nel miracolo della resurrezione del ragazzo di Nain è anticipata la propria resurrezione di “Figlio unigenito”, morto fuori dalla porta della città e “ridestato” per la compassione dello Spirito di Dio Padre!

La morte non merita il pianto di una madre vedova. La forza e la speranza le vengono dal tocco di Gesù sulla bara. Lui stesso, avendo toccato il sepolcro con il suo corpo crocifisso, ha toccato ogni altra sepoltura. Nessuno muore fuori dallo sguardo e dalla parola di Dio che dice: “Ragazzo, dico a te, àlzati!”.

All’inizio c’erano due cortei: quello di Gesù seguito dai discepoli e da molta folla e quello funebre del ragazzo accompagnato dalla madre e da altri paesani. Alla fine, in tutta la Giudea e nella regione circostante, tutti hanno nuova esperienza di Dio che visita ed è presente in mezzo al suo popolo nel suo “grande profeta”, il Figlio unigenito, il Signore Gesù. I due gruppi sono diventati una folla sapiente.

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