DIOCESI – In occasione della Giornata Internazionale del Malato, istituita trentuno anni fa da papa Giovanni Paolo II, si è svolta sabato 11 febbraio, alle ore 17:30, presso la Cattedrale Santa Maria della Marina di San Benedetto del Tronto, una Celebrazione Eucaristica dedicata in special modo ai malati. La Messa, presieduta dal vicario generale don Patrizio Spina, è stata concelebrata da don Romualdo Scarponi, don Luciano Paci e don Roberto Antonio Melone, coordinatore diocesano della Consulta della Salute. La festività, che non per caso cade proprio nel giorno in cui la Chiesa ricorda anche la prima apparizione della Madonna di Lourdes alla piccola Bernardette Soubirous, è stata onorata da molti fedeli, soprattutto malati, anziani e numerosi familiari, oltre ai rappresentanti delle associazioni del territorio che si occupano della cura e del supporto alle persone malate o con disabilità.
Il pomeriggio si è aperto alle ore 16:30 con la preghiera del Santo Rosario guidata da don Roberto. Prima di ogni decina è stato letto e commentato un brano del Vangelo avente come tema centrale il malato e la sua guarigione. Dopo questo momento di profondo raccoglimento ed intensa preghiera, si è passati alla celebrazione della Santa Messa.
Queste le parole di don Patrizio durante l’omelia: “Carissimi fratelli e sorelle, che bello essere qui questa sera tutti insieme! Prima che iniziasse la celebrazione, ho mandato una foto del nostro radunarci qui in Cattedrale al nostro caro vescovo Carlo, che in questi giorni vive la Visita Pastorale alle Suore Teresiane che sono nelle Filippine, e naturalmente lo teniamo presente nella nostra preghiera.
Questa sera, carissimi, vorrei che a risuonare tra noi fosse la parola di Papa Francesco, con il messaggio che lui ha preparato per questa Giornata Mondiale del Malato, dove ci propone la compassione come strumento e cammino di guarigione.
‘La malattia fa parte della nostra esperienza umana – ci ricorda il Papa-. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. Quando si cammina insieme, è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri si arrangino’.
Perciò, in questa XXXI Giornata Mondiale del Malato, nel pieno di un percorso sinodale, siamo tutti invitati da papa Francesco a riflettere sul fatto che, proprio attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia, possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza“.
“L’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza – ha proseguito don Patrizio – fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli. Si tratta dunque di imparare da Lui, per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto. Il Papa inoltre ci invita a guardare alla parabola del buon Samaritano, facendone una lettura che ci coinvolge tutti. ‘Il fatto che la persona malmenata e derubata viene abbandonata lungo la strada, – scrive sempre il Papa – rappresenta la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto… riconoscendone … la condizione di solitudine, di abbandono. Si tratta di un’atrocità che può essere superata prima di qualsiasi altra ingiustizia, perché – come racconta la parabola – a eliminarla basta un attimo di attenzione, il movimento interiore della compassione. Due passanti, considerati religiosi, vedono il ferito e non si fermano. Il terzo, invece, un samaritano, uno che è oggetto di disprezzo, è mosso a compassione e si prende cura di quell’estraneo lungo la strada, trattandolo da fratello. Così facendo, senza nemmeno pensarci, cambia le cose, genera un mondo più fraterno’.”
” ‘Fratelli, sorelle, non siamo mai pronti per la malattia – ha affermato don Patrizio, leggendo le parole di papa Francesco – e spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. Temiamo la vulnerabilità e la pervasiva cultura del mercato ci spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio. E così il male, quando irrompe e ci assale, ci lascia a terra tramortiti. Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine, e ci avvelena il senso amaro di un’ingiustizia per cui sembra chiudersi anche il Cielo. Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi. Ecco perché è così importante, anche riguardo alla malattia, che la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido ospedale da campo: la sua missione, infatti, particolarmente nelle circostanze storiche che attraversiamo, si esprime nell’esercizio della cura. Tutti siamo fragili e vulnerabili; tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare’. È la nostra esperienza di pellegrini a Lourdes: quante volte nei treni ci siamo fermati ed, avvicinandoci, abbiamo vissuto la stupenda esperienza che l’avvicinarci guarisce!”
“La Giornata Mondiale del Malato, in effetti, non invita soltanto alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti – ha aggiunto don Patrizio – essa, nello stesso tempo, mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme. La profezia di Ezechiele citata all’inizio contiene un giudizio molto duro sulle priorità di coloro che esercitano sul popolo un potere economico, culturale e di governo. La Parola di Dio è sempre illuminante e contemporanea. Non solo nella denuncia, ma anche nella proposta. La conclusione della parabola del Buona Samaritano, infatti, ci suggerisce come l’esercizio della fraternità, iniziato da un incontro a tu per tu, si possa allargare ad una cura organizzata. La locanda, l’albergatore, il denaro, la promessa di tenersi informati a vicenda (cfr Lc 10,34-35): tutto questo fa pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro di operatori sanitari e sociali, all’impegno di familiari e volontari grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte del mondo, il bene si oppone al male. Gli anni della pandemia hanno aumentato il nostro senso di gratitudine per chi opera ogni giorno per la salute e la ricerca. Ma da una così grande tragedia collettiva, non basta uscire onorando degli eroi. Il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i nostri limiti strutturali. Occorre pertanto che alla gratitudine corrisponda il ricercare attivamente, in ogni Paese, le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute. ‘Abbi cura di lui’ (Lc 10,35) è la raccomandazione dal Samaritano all’albergatore. Gesù la rilancia anche ad ognuno di noi, e alla fine ci esorta: ‘Va’ e anche tu fa’ lo stesso’.”
Don Patrizio ha poi concluso l’omelia ricordando la Madonna di Lourdes: “Anche l’11 febbraio 2023, guardiamo al Santuario di Lourdes come a una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità. Non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare. Si carissimi, ripetiamolo e ripetiamocelo: nessuno è da scartare o deve sentirsi scartato perché ognuno di noi è prezioso agli occhi di Dio. Papa Francesco ha detto nel suo messaggio: ‘All’intercessione di Maria, Salute degli infermi, affido ognuno di voi, che siete malati; voi che ve ne prendete cura in famiglia, con il lavoro, la ricerca e il volontariato; e voi che vi impegnate a tessere legami personali, ecclesiali e civili di fraternità’. E allora, Nostra Signore di Lourdes, prega per noi! Santa Bernadette, prega per noi ed intercedete per tutti noi perché diventiamo davvero compassionevoli, gli uni verso e per gli altri”.
Al termine della celebrazione si è tenuta la tradizionale processione aux flambeaux lungo le navate della Cattedrale: come da consuetudine, è stata portata in processione la statua della Madonna di Lourdes che generalmente è ubicata presso la sede del Biancazzurro a Porto d’Ascoli.
Queste le parole di Mariemma Bortoni, presidente della Sottosezione Sambenedettese dell’Unitalsi (Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali): “Finalmente si è sentito il bisogno delle persone di partecipare alla Messa! Dopo anni un po’ difficili, anche a causa della pandemia, sabato abbiamo rivisto la Cattedrale gremita, come non succedeva da tempo. Purtroppo alcuni malati non ci sono più perché li abbiamo persi durante la pandemia o per via del Covid o per alcune complicanze insorte nel post Covid; altri invece si sono aggravati e le condizioni di salute non hanno permesso loro di uscire di casa o dalle strutture di accoglienza presso le quali si trovano. Nonostante ciò, chi ha potuto ha voluto esserci e, dai volti dei malati e degli altri fedeli, abbiamo percepito il desiderio di pregare, di ricevere sollievo dalla Parola e di affidarsi alla Madonna. L’omelia di don Patrizio è stata particolarmente coinvolgente e sentita ed ha scatenato un’emozione forte, che a tratti si è trasformata in commozione. Con parole semplici, ma profonde, ha toccato alcuni temi importanti della fede e ha parlato della vicinanza del papa a Lourdes e ai malati. Anche la processione finale è stata molto commovente, perché ha messo in evidenza quello sguardo tenero e rassicurante della Madonna di Lourdes che accoglie ed abbraccia tutti. Per noi, piccoli nella fede, è facile affidarsi ad una madre. Del resto la parola ‘mamma’ è la prima che diciamo appena iniziamo a parlare ed è spesso anche l’ultima che pronunciamo prima di morire, perché è la persona a cui, con più facilità, rivolgiamo ogni nostro pensiero, ogni nostra paura, ogni nostro desiderio. È nel volto di questa Madre speciale, che è la Madonna di Lourdes, che troviamo conforto: è grazie alla sua intercessione, infatti, che abbiamo la certezza di non essere mai abbandonati, di non essere mai soli nelle prove che la vita ci riserva“.
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