Con un Motu proprio diffuso oggi, il Papa ha deciso di di allungare i tempi in cui è possibile presentare ricorso all’Autorità competente, in caso di dimissioni dagli Istituti di vita consacrata: da dieci giorni (quindici, nel caso delle Chiese orientali) a trenta giorni, “senza necessità di chiedere per iscritto la revoca o la correzione del decreto al suo autore”. “Una modalità meno restrittiva dei termini di trasmissione del ricorso consentirebbe all’interessato di poter meglio valutare le imputazioni a suo carico, nonché di poter utilizzare modalità di comunicazione più adeguate”, lo spirito del Motu Proprio, che modifica il canone 700 del Codice di Diritto canonico (CIC) e il canone 501 del Codice dei canoni delle Chiese orientali (CCEO) al fine di garantire una più definita e adeguata tutela dei diritti delle persone che vengono dimesse dagli Istituti di vita consacrata, cambiando così status giuridico. I tempi cronologici previsti finora, spiega il Papa nel Motu Proprio, “non possono dirsi congruenti alla tutela dei diritti della persona”. Di qui la modifica, attuata in conformità al l sesto principio generale che il Sinodo dei Vescovi, nell’ottobre 1967, approvò per la revisione del Codice di Diritto Canonico: “È opportuno che i diritti delle persone siano adeguatamente definiti e garantiti”. Un principio, questo, che per il Papa “ancor oggi rimane valido, riconoscendo alla tutela e alla protezione dei diritti soggettivi un posto privilegiato nell’Ordinamento giuridico della Chiesa” e che “diventa rilevante soprattutto nelle vicende più delicate del vivere ecclesiale, quali sono le procedure concernenti lo status giuridico delle persone”. Altro pericolo, secondo Francesco, è quello che la procedura prevista dai canoni 697-699 del Diritto canonico e dai canoni 497-499 del Codice delle Chiese Orientali “non sempre venga correttamente rispettata”, mettendo così a rischio la validità della procedura stessa e di conseguenza la tutela dei diritti dei professi dimessi”.

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