DIOCESI – “Questa sera mettiamo idealmente anche noi in quella stanza in cui Gesù sta celebrando l’ultima cena con i suoi apostoli. Ci aiuterà a fare memoria viva di ciò che stiamo celebrando, a comprendere meglio quanto lì è avvenuto e come è stato vissuto da coloro che vi hanno partecipato”.

E’ l’invito rivolto da Mons. Carlo Bresciani, vescovo della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, nell’omelia della Messa in Coena Domini presso la Cattedrale Madonna della Marina.

Vescovo Bresciani: “Abbiamo i 12 apostoli e abbiamo Gesù con loro che dice fin dall’inizio che ha desiderato tanto questa cena con loro. Una prima manifestazione di amore, sapendo bene come si sarebbe conclusa quella cena pasquale straordinaria. Poi fa un altro gesto sorprendente: lava i piedi a tutti. Tra poco anche noi ripeteremo lo stesso gesto della lavanda dei piedi. Tutti lo lasciano fare, solo uno pone resistenza: è proprio Pietro, colui che Gesù ha scelto come capo dei 12. Possono essere molti i motivi per cui fa resistenza, forse anche perché pensa che dovrebbe essere lui a lavare i piedi a Gesù e non viceversa. Di fatto è l’unico che fa resistenza e, come altre volte, fa fatica a capire il gesto di Gesù. Non sempre è stato facile per gli stessi apostoli capire a pieno e immediatamente ciò che Gesù faceva e diceva. Ma alla fine si fidavano di lui e lo seguivano. Chissà se gli altri undici, che silenziosamente lasciano fare, hanno capito in quel momento il senso di quello che Gesù stava facendo: gli lasciano fare. Accettano semplicemente ciò che Gesù fa loro. In fondo è esattamente quello che tutti noi siamo chiamati a fare: lasciare che Gesù agisca in noi, senza opporre resistenze. Pietro non è facile a questo: lo vediamo in tutto il vangelo, ma alla fine egli sa sempre rimettersi a Gesù.
Tocca a Gesù prendere l’iniziativa e chiede: “Capite quello che ho fatto per voi?” (Gv 13, 12). Se non si capisce a fondo il senso dei gesti, questi restano privi di quella grazia di cui sono portatori. Come è possibile se non ne comprendiamo a fondo il senso. Gesù lo spiega ai suoi apostoli: “perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Ecco, Gesù si fa maestro, spiega e indica la strada della vita che il discepolo deve percorrere, imitando lui che è via, verità e vita, maestro di vita. È questo il senso dei lunghi discorsi che Gesù, secondo il vangelo di Giovanni, fa ai suoi discepoli in quella cena.
Ma in quella riunione i 12 non sono affatto uniti tra loro: c’è qualcuno, Giuda, che, mentre Gesù parla di desiderio di consumare quella cena pasquale in comunione con i suoi discepoli, spende calorose parole di affetto per i suoi apostoli, pensa al denaro e a come tradirlo. Mentre cena con lui, medita come tradirlo e questo per soldi. Il vangelo dice che “Gesù fu profondamente turbato” per questo. Altrove si dice che Giuda era un ladro. Rubava dalla cassa comune che gli apostoli avevano costituito. Di fatto, egli ama più il denaro che Gesù. Si è fatto lavare i piedi da Gesù, ma non si è lasciato cambiare il cuore. Che tristezza! Possiamo giustamente esserne scandalizzati: tradire un amico per soldi, per trenta denari.
Ma quanto spesso capita che si ami più il denaro che Gesù! Quanto spesso, ora come allora, il denaro prende il posto di Dio! E quando questo capita sono dolori, perché l’idolo del denaro rompe sempre la comunione e porta morte. Giuda è lì, ma il suo cuore è altrove, è dentro il sacchetto dei trenta denari: uno spazio troppo ristretto per la vita e, quindi, soffoca il cuore, spegne la vita. Di fatto lo porta lontano non solo da Gesù, ma anche dagli altri undici, lo porta nella solitudine che è costretto a constatare amaramente quando, più tardi, troppo tardi, si rivolge ai sommi sacerdoti, i quali, senza mezzi termini, lo scaricano e non vogliono minimamente prendersi cura di lui.
Giuda è lì con Gesù, ma di fatto non sta con Gesù; partecipa a quella cena eccezionale, ma non si lascia cambiare il cuore da quello che vive in quella cena. L’amore di Gesù non scalfisce la sua chiusura sull’avidità per il denaro. Come gli altri apostoli, mangia quel pane e beve quel vino benedetto, ormai diventati il corpo e il sangue di Cristo, ma la salvezza non entra nel suo cuore. Poteva essere quello il momento del suo riscatto, invece la sua chiusura è diventata la sua rovina. Carissimi, se il corpo e il sangue di Cristo non cambia il nostro cuore, noi rendiamo inutile di dono di Gesù, rendiamo sterile il suo amore.
In quell’ultima cena c’è anche Giovanni, “il discepolo che Gesù amava”, dice il vangelo e, dall’atteggiamento, Giovanni sembra ricambiare quell’amore. Sembra, questo, essere l’unico tocco di tenerezza attorno a quella tavola, poiché degli altri non si dice nulla.
Ci vengono descritti tre atteggiamenti diversi degli apostoli: Pietro, Giuda e Giovanni. Tre atteggiamenti diversi che possono attraversare le vite di ciascuno di noi, e che, forse, in qualche misura, portiamo dentro di noi anche questa sera mentre facciamo memoria dell’ultima cena, rivivendola liturgicamente con Gesù.
Chiediamoci: che cosa chiede questa sera a me Gesù? Mi vuole lavare i piedi. Sono disposto a lasciarmi lavare i piedi da Lui? Cosa significa per me lasciarmi lavare i piedi da lui?
Ancora: quali chiusure del mio cuore devo sciogliere, quali idoli devo lasciare per non tradire di fatto Gesù nelle scelte concrete della vita? Molti idoli rischiano sempre di frapporsi tra noi e lui e il mondo ne inventa e ce ne presenta sempre di nuovi. C’è l’idolo eterno del denaro che tante schiavitù genera ovunque nel mondo, ma c’è anche l’idolo del sesso che anche oggi porta a morte tanti matrimoni e tante famiglie, c’è l’idolo del potere che tanti danni (e guerre!) provoca ovunque, c’è l’idolo dell’apparire e del successo per il quale si vendono letteralmente moglie e figli… Quali sono gli idoli che minacciano la mia vita e le tolgono il respiro vero della libertà autentica?
Gesù conosce il nostro cuore, come conosceva bene il cuore di Giuda e quello di tutti gli apostoli, ma continua, come ha fatto con lui e con loro, ad offrirci la possibilità di riscattarci dalle nostre chiusure. Lo fa offrendoci sempre di nuovo il suo amore. Lo fa con noi, qui questa sera. Lui ci conosce fino in fondo più di chiunque altro, lui sa leggere il nostro cuore, al di là delle maschere con le quali cerchiamo di nasconderlo a noi stessi e agli altri. Non si spaventa per le nostre povertà e per le nostre miserie. Queste, per quanto grandi, per nostra fortuna e per la grandezza del suo cuore, non sono mai in grado di spegnere il suo amore per noi. Gesù non ha mai cessato di amare Giuda, nonostante sapesse che stava per tradirlo e non ha cessato di amarlo neppure dopo che l’ha tradito. Quanto ha chiesto dalla croce al Padre prima di morire, “Padre perdona loro”, l’ha chiesto anche per Giuda e lo chiede incessantemente per ciascuno di noi.
Noi, come vogliamo stare attorno a quella tavola, quale vuole essere il nostro atteggiamento interiore? Potrebbe essere la domanda con la quale ci fermiamo in meditazione questa sera davanti al sacramento dell’amore che verrà conservato proprio per la nostra adorazione.

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