di Ana Fron

Da anni in Europa la materia dell’immigrazione viene trattata in maniera inadeguata. Pensandola come evento passeggero si prova a risolverla “mettendo qua e là una pezza”, ma la storia ci dimostra continuamente che di passeggero non c’è nulla. Si alternano ondate dopo ondate, piccole o grandi, che rendono il movimento demografico ininterrotto.
Appartengo alla Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, ma sono anche una cittadina della Comunità Europea e oggi le mie riflessioni si soffermano sulla responsabilità che l’Europa ha nei nostri confronti. Sappiamo che l’Unione è nata per perseguire il bene comune, allora è arrivato il momento di darne prova. Ma l’Europa è la casa di 27 paesi, dunque non è una entità astratta (solo per l’ideale può esserlo). Pensare a piani risolutivi, ognuno e tutti insieme, è un imperativo categorico.
Dunque, oggi il momento “emergenziale” deve spronare gli stati a progettare finalmente piani di ingresso per stranieri, seri e duraturi. Piani che prevedano arrivi organizzati, non più pervasi di tanta spettacolarità. Viaggi disumani; per mari e monti, a piedi e con mezzi fatiscenti. È questo il modo di viaggiare di tanti immigrati, oggi, quando la viabilità, con strade e mezzi di trasporto, ha raggiunto livelli di eccellenza. È un grande paradosso dei nostri tempi.
Assistiamo a grandi risultati ingegneristici: la costruzione del tunnel ferroviario sottomarino della Manica, lungo 39 km, costruito in 7 anni, con l’apporto dei geologi e di  4000 operai;
la realizzazione di sofisticati aeroporti, ponti meravigliosamente trafficabili, porti navali che accolgono immense e stupende imbarcazioni da crociera; treni superveloci, come i tedeschi InterCity Express e i francesi TGV che si muovono tra Parigi, Marsiglia e Bruxelles ad una velocità di 320 km/h; il ponte che anche noi in Italia abbiamo in previsione di costruire per unire la Sicilia alla Penisola, spendendo circa 10 miliardi di euro. Siamo tutti fieri di tali realizzazioni. Straordinarie! Ma, mentre sul piano tecnologico troviamo sempre soluzioni e buona volontà, sul piano umano invece ci dimostriamo carenti. Non riusciamo a ideare piani di “transitabilità umana”.
Ci mancano i mezzi? Quelli economici no.
Ci manca forse la capacità di pensare al bene comune. Eppure la pandemia ci ha dimostrato il valore del bene di tutti.
Dunque, mai come oggi l’Europa viene chiamata in causa.
La Comunità Europea dovrebbe:
Rivedere il Regolamento di Dublino (343/2003) che obbliga gli stati di approdo degli immigrati, alla prima accoglienza ed al ricevimento e gestione delle domande di asilo. Il problema si pone quando in questi stati, solitamente ai confini europei, si verifica un’eccedenza di ingressi. Tutti gli stati membri devono partecipare alla collocazione dei richiedenti, in maniera equa.
Cambiare la modalità di ingresso dei cittadini stranieri. Bisogna costruire anche ponti umanitari adeguati per i richiedenti asilo, cioè per le persone che cercano protezione in Europa, fuggendo da guerre, calamità naturali o da luoghi dove i diritti umani non sono garantiti.
Fare in modo di portare i cittadini stranieri di cui i paesi europei hanno assolutamente bisogno come manodopera, con progetti di flussi numericamente adeguati. Evitando loro di attraversare a piedi il deserto, di subire torture nei campi libici o tunisini e di arrivare in Europa distrutti e malati a volte irrimediabilmente. Usiamo gli straordinari mezzi che abbiamo per fare viaggiare le persone in modo dignitoso e in maniera proficua. Fare venire gli immigrati, direttamente dai paesi di origine, risparmia loro una sofferenza, e agli stati europei soldi di riabilitazione. Abbiamo inoltre bisogno di manodopera. Provvediamo ad avere operai in forze per il loro bene e per il bene di tutti.

Continuiamo a costruire treni, ponti e navi, poi impediamo alle persone di usarle. È questo il paradosso del nostro secolo.

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