di Pietro Pompei

A 30 anni dalla morte del Venerabile don Tonino Bello, avvenuta il 20 aprile 1993, vogliamo ricordare la figura esemplare del Vescovo di Molfetta, tornata di grande attualità, nel momento in cui la Pace è fortemente in crisi e la povertà dilaga.

Nelle poche volte che potemmo ascoltarlo qui a San Benedetto del Tronto, ci stupì con il suo linguaggio essenziale e l’entusiasmo con cui parlava di Gesù Cristo. In questi anni di isolamento per malattia è diventato un sollievo riascoltare le sue prediche specialmente quelle tenute in un corso di esercizi spirituali per i sacerdoti ammalati, a Lourdes: quell’ascolto mi ha fatto riprovare le emozioni di quel dicembre del 1992 quando, don Tonino ancora convalescente dopo un delicato intervento chirurgico e a pochi mesi dalla morte, partecipò alla marcia per la Pace dei Cinquecento a Sarajevo durante l’assedio della città nella guerra in Bosnia ed Erzegovina.

“In quell’occasione- ricorda Mons.Luigi Bettazzi in un interessante pamphlet del 2001 edito dalla S.Paolo- seppe da una parte riassumere con un linguaggio vibrante ed incisivo, come era nella sua abitudine, scultoreamente le finalità di quel gesto “utopistico” e dall’altra infondere entusiasmo e speranza nei Cinquecento, ma soprattutto nel popolo di Sarajevo. E poiché questo suo parlare nasceva da un cuore innamorato di Dio e di Gesù Cristo ( e della Madonna, invocata anche durante lo strazio dell’agonia), riusciva a trasmettere germi di fede e di speranza”. La Pace e la Solidarietà facevano tutt’uno nell’opera di don Tonino, e lo dimostrò accogliendo quanti approdavano, fin da allora, sulle coste pugliesi, fuggendo dalle proprie terre.

Come presidente nazionale di Pax Christi, il Vescovo Mons.Bello, ha lasciato un messaggio alto e forte al mondo e alla Chiesa. È un invito che si sta dimostrando di profetica attualità, oggi in cui crediamo di poter ottenere la Pace con la forza, con le armi, con la guerra. Egli vedeva la Pace nella “ convivialità delle differenze” con l’uso dei mezzi rispettosi non solo dell’integrità fisica, ma di ogni diritto di libertà e di giustizia.

“Don Tonino era un prete- scrive ancora Mons. Bettazzi- innamorato di Gesù Cristo e dei poveri”. Insieme alla Pace ci ha lasciato un messaggio di servizio. La sua “Chiesa del grembiule” resta come invito ai cristiani e alle comunità e come speranza per i poveri del mondo. Discorrendo di poveri, la nostra Caritas Diocesana in una pubblicazione dell’anno giubilare 2000 non trovò di meglio che rifarsi agli scritti del Vescovo don Tonino che era solito dire parlando dei poveri: “Non basta un letto, senza la buonanotte”.
I poveri oggi si presentano in due grandi gruppi: gli Emarginati e gli Sfruttati. Per i primi don Tonino usa la parola ” Drop out ” ( significa letteralmente  “caduti fuori”):  “Come le arance cadute da un carretto che vanno a finire ai margini della strada e prese a calci”. É una variante linguistica del termine emarginati. Indica il campionario assortito di coloro che, essendo ruzzolati giù per colpa loro o per cattiveria altrui  non sono più ripresi in considerazione da nessuno. Vanno così ad ingrossare quel deposito di sub-umanità contro cui il tirar calci finché non si sfracella, se non proprio un sistema legittimato dal sistema può apparire un’ esercitazione iniqua solo per quel tratto che separa l’indifferenza dalla ferocia” .
Oggi il fenomeno della povertà non ha la stessa natura di prima. Essa non consiste più nella arretratezza intesa soltanto come assenza di sviluppo materiale. La povertà nel nostro tempo, è  principalmente frutto di uno sviluppo contraddittorio, a causa del quale “i ricchi diventano sempre più ricchi a spese dei poveri che diventano sempre più poveri”.

Don Tonino scriveva nel libro “Vegliare nella notte”: “Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere“. Ed Egli parlava con un linguaggio ricco di poesia e di entusiasmo che rivelava una profonda cultura ed una vivace fantasia, doti che rendevano il suo parlare accattivante, specialmente in mezzo ai giovani. A questi trasmetteva fiducia e speranza e li entusiasmava lungo percorsi pieni di ideali. Nel libro già citato scriveva :“ Vorremmo tanto lasciar perdere le ingombranti foglie di fico che coprono le nostre vergogne. E, invece che nasconderci dietro l’opacità dei cespugli, correre tra le braccia di Dio, per farci perdonare da lui quando, alla brezza del vespro, scende ogni giorno a passeggiare nel nostro giardino”.

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