Daniele Rocchi
(Nicosia) “Un evento che non deve restare isolato, ma diventare uno stile. In questi giorni ci siamo esercitati a sentire e ad ascoltare con rispetto, accettazione, tranquillità, amore reciproco come veri fratelli e sorelle. Questa è la Chiesa”. Con queste parole il prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, mons. Claudio Gugerotti, ha chiuso ieri (dal 20), a Nicosia (Cipro), il simposio “Radicati nella speranza”, promosso dalla Roaco (Riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali), per celebrare i 10 anni dell’Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” firmata da Benedetto XVI ad Harissa (Libano) il 14 settembre 2012. Quattro giorni di lavori durante i quali oltre 250 rappresentanti delle Chiese cattoliche del Medio Oriente, patriarchi, vescovi, sacerdoti e esponenti di istituti religiosi e movimenti laici, hanno riletto il documento – definito dal patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, “una sorta di testamento consegnato alle Chiese del Medio Oriente” – alla luce dei fatti salienti che hanno segnato gli ultimi 13 anni e riflettuto sui possibili orientamenti e percorsi da intraprendere nel futuro.
Chiese forti e vibranti. Mons. Gugerotti, nelle sue conclusioni, ha parlato di Chiese di “una grande vitalità, vive e forti che vogliono essere sante, testimoni, libere, attive e vibranti. Sono così vicine a Gesù e al suo modo di parlare. Trasmettono il suo stesso respiro. La storia delle vostre chiese è una storia di miracoli. La vostra liturgia è uno di questi miracoli”. Gli eventi epocali accaduti, in particolare, negli anni successivi alla pubblicazione dell’Esortazione hanno visto le comunità cristiane pagare un prezzo alto ma, è stato il monito del Prefetto, “smettiamo di lamentarci. I vostri antenati – ha detto rivolgendosi ai presenti – hanno percorso la Via Crucis, cantando inni di lode al Signore. Gli stessi inni che cantate voi oggi. Sono il dono della fede dei vostri padri e delle vostre madri. Il Vangelo è la ragione del nostro esistere e per questo non va dato per scontato perché il rischio è quello di dimenticarlo”. Altro punto “importante” evidenziato da mons. Gugerotti è stato il contributo dei giovani: “abbiamo sentito dai giovani che tutto questo non deve essere un museo, ma una fonte di acqua pura, anche se scintilla nel deserto. Lasciamoci commuovere dal desiderio dei vostri giovani di lavorare insieme. Vescovi, sacerdoti e popolo, insieme ai disabili e ai poveri per evangelizzare. Alcuni di voi – ha aggiunto – hanno affermato che non è importante conservare i nostri privilegi o quelli di coloro che sono privilegiati tra noi. È importante mantenere i nostri cuori giovani, perché gli occhi giovani sono capaci di guardare i miracoli della fedeltà, del coraggio e delle scelte coraggiose dei nostri giorni”. Dal Prefetto anche l’invito a promuovere “la lode nelle vostre famiglie” e “a fare di tutto per mantenere la preghiera sulle labbra dei vostri migranti. Essi saranno fedeli a Gesù e alla sua Chiesa e voi non li perderete. Come cristiani saranno il seme buono per la società in cui vivono”.
Aiuto economico. Nel suo intervento mons. Gugerotti ha toccato anche il tema dell’aiuto economico alle Chiese orientali esortandole a “dividere con giustizia il denaro ricevuto, a creare fondi comuni, amministrati e distribuiti onestamente e a fare del vostro meglio per essere almeno il più possibile autosufficienti” ma “non mendicanti perché questo compromette la dignità che appartiene alla vostra storia e di cui voi e noi siamo orgogliosi”.
La cittadinanza. Circa il ‘nodo’ della cittadinanza, presente nell’Esortazione e richiamata spesso durante il Simposio, mons. Gugerotti ha ribadito “il pieno sostegno della Santa Sede” alla legittima richiesta delle Chiese locali di vedere “i cristiani riconosciuti come cittadini a pieno titolo. Si tratta di uno sforzo è assolutamente giusto. La Santa Sede lavora per questo, ma il nostro stile è spesso silenzioso. Molti ci rimproverano di non fare nulla. Il fatto che non gridiamo nelle piazze non significa che non lavoriamo. Non vogliamo essere popolari. Vogliamo essere efficaci. Dobbiamo parlare con le persone giuste e nel modo giusto. Quindi, se non diciamo tutto quello che vorreste sentire, non è perché non siamo coraggiosi. È perché vogliamo essere efficaci. Il nostro incontro inizia ora – ha concluso – cerchiamo di essere fedeli a ciò che diciamo e facciamo del nostro meglio, tutti insieme, perché diventi realtà”.
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