Pubblichiamo la riflessione di Padre Francesco Occhetta, pubblicata su Vita Pastorale
Il tema della presenza dei cattolici in politica è come un fiume carsico, quando riaffiora rischia di portare il dibattito ecclesiale ad “adorare le ceneri” senza “custodire il fuoco” della tradizione. Tuttavia sono ancora molti i credenti impegnati a vari livelli nella vita sociale e politica. Più del “come” riorganizzare una presenza comune è urgente chiedersi “verso dove” dirigersi e “con chi” condividere l’orizzonte valoriale e antropologico che anima l’agire del cattolico.
In questo tempo caratterizzato da un’instabilità strutturale (crisi finanziaria, pandemia, inflazione, guerra…), come nel secondo Dopoguerra la presenza dei cattolici dev’essere quella di fungere da enzima e da lievito. Le forze politiche si stanno posizionando sulle ali estreme degli schieramenti, attraverso forti spinte centrifughe. La cultura cattolica (se lo volesse) potrebbe ricomporre le tensioni sociali verso spinte centripete per trasformarle in proposte di legge o in riforme, in mediazioni o in nuove forme di vita sociale.
L’antidoto ai populismi rimane la cultura dell’incontro. È necessario incontrare le persone e stare in mezzo a loro. La comunicazione politica rischia solo di strumentalizzarle, invece occorre ripensare una presenza e una proposta per quei 18 milioni di elettori che non votano più. È noto a molti: un credente su due che la domenica partecipa alla messa, stando ai sondaggi, si disinteressa completamente della politica. Rimane aperta la questione antropologica e valoriale: le paure si superano con la speranza, l’inerzia con le competenze, le solitudini con spazi nuovi da riaprire, l’apatia con il confronto sulle soluzioni concrete da dare ai problemi.
Esiste in Italia e nella politica una questione giovanile. Generazioni di adulti non hanno educato i giovani ad assumersi le loro responsabilità e a considerare la politica importante come lo sport o la musica. Un appello va lanciato ai genitori e agli educatori: il ritorno prepotente della guerra in Europa indica come sia possibile perdere, in poco tempo, l’eredità che abbiamo ricevuto dalle generazioni precedenti alla nostra. Per evitare che la democrazia non scivoli nel baratro della oclocrazia – che è il governo dei più ricchi – una società matura ha il compito di trasmettere ai nostri giovani l’amore per la politica e chiedere loro di impegnarsi nel servizio a chi ha più bisogno, attraverso politiche solidali e sussidiarie.
Certo Roma non riformerà Roma, sono i territori e la costruzione dinamica dell’Eu a dover essere al centro dell’impegno dei cattolici. Lo scorso 6 maggio, nella Chiesa del Gesù a Roma, Paolo Gentiloni ha consegnato alle giovani generazioni sei sfide. Anzitutto la “transizione verde” con gli obiettivi dell’agenda 2030. Poi la sfida della crescita che non è più lineare e progressiva, ma dev’essere sostenibile e sociale. Come terza sfida la ricerca delle tecnologie pulite attraverso la formazione, la riqualificazione e l’adattamento del mondo del lavoro. La quarta sfida è quella di conservare il modello dell’economia sociale di mercato e il modello del welfare che ci ha permesso di uscire dalla pandemia. La quinta sfida è quella della cura della dimensione verticale dell’Europa verso il Mediterraneo e l’Africa. Solo la collaborazione e la valorizzazione di queste aree ci permetterà di gestire la demografia e i mutamenti climatici. Infine, il tema della democrazia e delle libertà: «Durante la crisi degli anni Venti è stata affrontata insieme (vaccini e Pnrr). Nelle crisi degli anni Dieci le dinamiche intergovernative, sull’immigrazione, sul caso della Grecia, sulle crisi finanziarie e sulla Brexit sono state nettamente prevalenti. Dobbiamo far progredire le nostre istituzioni europee nella direzione unica possibile che è quella di maggiore democrazia».
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