Card. Zuppi a Bucha (foto da Telegram gov.ua)

M. Chiara Biagioni

“Non so se e quando il card. Zuppi andrà a Mosca ma questa vicenda in qualche modo rende più semplice in senso di motivazioni, la missione della Santa Sede perché i russi sono così isolati, anche dal punto di vista ecclesiastico, che Roma, il Papa, rimane l’unico amico che hanno”. E’ quanto osserva don Stefano Caprio,  missionario in Russia dal 1989 al 2002 e docente di storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma (Pio), commentando al Sir l’impatto che il tentato golpe di sabato 24 giugno può avere anche sulla seconda tappa – dopo quella in Ucraina – della missione di pace del card. Matteo Zuppi a Mosca a nome del Santo Padre. “E’ chiaro – argomenta l’esperto – che andare adesso a Mosca a parlare di pace in Ucraina non ha senso. Se vai adesso a Mosca, devi chiedere ai russi di stare tranquilli tra di loro. In questo senso, paradossalmente, la divisione e la debolezza interna della Russia quasi favoriscono la missione di Zuppi perché lui non deve proporre trattative di pace – queste sono questioni politiche e militari. Lui deve invitare, ascoltando, ad uno spirito di pace all’intero e al di fuori dei paesi. E’ un messaggio quindi più profondo e universale”.

La Santa Sede si presenta in questo momento quasi come interlocutore unico. “A livello ecclesiastico – fa notare il sacerdote – i russi hanno fatto ormai rottura totale con Costantinopoli e tutte le altre chiese ortodosse, anche quelle più amiche, non si espongono a favore di Mosca, oppure si sono espresse chiaramente contro. Non hanno quindi neanche più questo sostegno morale a livello religioso, spirituale, universale.“Nel mondo appaiono ormai come un Paese canaglia, una Chiesa canaglia, che ha rovinato tutta la rinascita religiosa degli ultimi 30 anni. Quindi se la Santa Sede si prende la responsabilità di continuare un dialogo con loro, è quasi un atto di carità nei loro confronti”.Insomma, “i russi non possono fare a meno del dialogo con Roma” e la Santa Sede può portare un messaggio importante per la Russia in questo particolare momento storico che è quello di “recuperare l’anima vera della Russia, l’anima della sua religione ortodossa, della sua cultura, della sua tradizione universale, vissuta però non in conflitto con il mondo, ma come messaggio di unità e comprensione mondiale”.

Don Caprio osserva anche che un “Putin indebolito” comporta anche “un Patriarca debole”. Anche se la carica di Patriarca è a vita, Kirill potrebbe risentire del fatto di aver “esagerato con la retorica” nell’ultimo anno. “Ultimamente si è indebolito con la storia della icona di Rublev della Santissima Trinità” e del suo trasferimento forzato dal museo alla chiesa”. Una decisione – racconta Caprio – che “ha creato moltissimo malumore tra gli stessi fedeli, non solo per i possibili danni all’opera ma anche perché è evidente che non si può trattare così un capolavoro dell’arte solo per fare propaganda”. Fanno discutere anche le scomuniche di una serie di sacerdoti che si sono espressi a favore della pace. “Anche il Patriarca capisce – commenta don Caprio – che la situazione gli sta sfuggendo di mano”. Il missionario italiano racconta infine di aver sentito in questi giorni diverse persone, a Mosca e in altre parti della Russia. “La maggior parte della gente comune cerca di stare il più possibile dalla larga da quanto sta accadendo. Molti sanno che qualunque parola, scambiata anche tra amici al bar, addirittura in contesti privatissimi, potrebbe creare conseguenze. Si ha paura addirittura a parlare anche in famiglia. E’ quindi una condizione molto pesante”.

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