Paolo Bustaffa

Ogni giorno i media dedicano ampi spazi e tempi al racconto e al commento di fatti e problemi interni.  Un’attenzione doverosa e motivata che tuttavia lascia aperte alcune domande.

Poche testate giornalistiche, tra le quali ai primi posti è L’Osservatore Romano, hanno finestre spalancate sul mondo.

Si dirà che ci sono riviste specialistiche e anche quelle missionarie sono fonti attendibili. Si aggiungerà che ci sono siti internet di organismi internazionali e di organizzazioni non governative. A queste fonti accede però un ristretto gruppo di persone sensibili e attente.

L’opinione pubblica rimane priva di un’informazione internazionale sistematica e fatica a prendere consapevolezza che oltre i confini di un Paese ci sono problemi che coinvolgono lo stesso Paese e che non è sensato dire “abbiamo già tanti problemi a casa nostra e non è il caso di caricarci quelli degli altri”.

Tra i molti problemi emerge, anche per il richiamarsi al flusso migratorio, quello dello sfruttamento dell’Africa e in particolare delle sue miniere.

Ghana, Repubblica del Congo, Sudafrica sono tra i Paesi del continente verde al centro di attenzioni mirate da parte di multinazionali e di governi sia dell’ovest che dell’est.

Ciò che si estrae dagli scavi, dove cola il sudore se non il sangue della povera gente, entra nella produzione dei cellulari e di altri dispositivi elettronici. Si acquistano ritenendo superfluo il sapere se in quelle miniere siano garantiti o meno i diritti umani e il rispetto dell’ambiente.

Davvero nulla si può fare per dissolvere quest’ombra cupa? Non rimane che girare lo sguardo dall’altra parte oppure chiudere gli occhi?  E se invece un primo passo fosse quello di informarsi e di documentarsi anche per dare voce a quanti sono stati privati anche di questo diritto?

Ecco un passo possibile per tenere accesa la luce sul mondo, per avere uno sguardo meno sbrigativo su un popolo di bambini, donne e uomini in fuga dall’Africa e in arrivo sulle coste europee.

Conoscere è il passo necessario per cambiare lo sguardo, per incoraggiare la mente a uscire da confini ristretti, per dare a un’identità la forza di lottare contro la paura e di aprirsi per crescere.

Anche i media potrebbero a questo punto rendersi conto che un’informazione nazionale senza una pari informazione internazionale rischia di ridursi a informazione dimezzata.

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