M.Michela Nicolais
“Quanti lupi si nascondono dietro sorrisi di falsa bontà, dicendo di conoscere chi sei ma non volendoti bene, insinuando di credere in te e promettendoti che diventerai qualcuno, per poi lasciarti solo quando non interessi più. Sono le illusioni del virtuale e dobbiamo stare attenti a non lasciarci ingannare, perché tante realtà che ci attirano e promettono felicità si mostrano poi per quello che sono: cose vane, superflue, surrogati che lasciano il vuoto dentro”. Non usa mezze misure, Papa Francesco, con il popolo giovane che si è dato appuntamento a Lisbona. “Non siete qui per caso. Il Signore vi ha chiamati per nome, non solo in questi giorni, ma dall’inizio dei vostri giorni”, il saluto ai 500mila giovani che si sono radunati nel Parque Eduardo VII, per il primo abbraccio con Francesco e l’inizio ufficiale della Giornata mondiale della Gioventù di Lisbona, la quarta nel pontificato di Bergoglio, la prima dopo la pandemia da Covid-19.
“Nessuno è cristiano per caso, tutti siamo stati chiamati col nostro nome”,
l’esordio di Francesco: “Al principio della trama della vita, prima dei talenti che abbiamo, delle ombre e delle ferite che portiamo dentro, siamo chiamati”, spiega il Papa: “Chiamati perché amati”. Da una parte la verità di Gesù, per cui noi siamo un volto e non un numero, dall’altra le insidie della rete: “Tanti, oggi, sanno il tuo nome, ma non ti chiamano per nome. Il tuo nome infatti è noto, appare sui social, viene elaborato da algoritmi che gli associano gusti e preferenze. Tutto questo però non interpella la tua unicità, ma la tua utilità per le indagini di mercato”. Gesù no: “Lui ha fiducia in te, per lui tu conti”. Ai giovani, per antonomasia “allergici alle falsità e alle parole vuote”, Bergoglio ribadisce che
“nella Chiesa c’è posto per tutti”.
“La Chiesa è, e dev’essere sempre di più, quella casa dove risuona l’eco della chiamata per nome che Dio rivolge ad ognuno”, il monito di Francesco: “Il Signore non punta il dito, ma allarga le braccia: ce lo mostra Gesù in croce. Lui non chiude la porta, ma invita a entrare; non tiene a distanza, ma accoglie. In questi giorni inoltriamo il suo messaggio d’amore: ‘Dio ti ama, Dio ti chiama’”.
“Fare domande è giusto, anzi spesso è meglio che dare risposte,
perché chi domanda resta inquieto e l’inquietudine è il miglior rimedio all’abitudine, a quella normalità piatta che anestetizza l’anima”. Ne è convinto il Papa, che anche nel primo incontro della sua seconda giornata in Portogallo, rivolgendosi ai giovani dell’Università cattolica portoghese di Lisbona, ha esortato a diffidare “delle formule prefabbricate, delle risposte che sembrano a portata di mano, sfilate dalla manica come carte da gioco truccate, di quelle proposte che sembrano dare tutto senza chiedere nulla”. “Cercare e rischiare”: sono questi i verbi dei pellegrini. “Essere insoddisfatti è essere uomini”, la citazione di Pessoa: “Non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e il narcisismo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo assetati dentro, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro, com saudades do futuro! “, ha esclamato Francesco: “Non siamo malati, ma vivi!
Preoccupiamoci piuttosto quando siamo disposti a sostituire la strada da fare con un qualsiasi punto di ristoro, purché ci dia l’illusione della comodità; quando sostituiamo i volti con gli schermi, il reale con il virtuale; quando, al posto delle domande che lacerano, preferiamo le risposte facili che anestetizzano”.
“Cercate e rischiate”, il doppio imperativo per i giovani: “In questo frangente storico le sfide sono enormi e i gemiti dolorosi, ma abbracciamo il rischio di pensare che
non siamo in un’agonia, bensì in un parto;
non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Siate protagonisti di una nuova coreografia che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita. Se i semi preservassero sé stessi, sprecherebbero completamente la loro potenza generativa e ci condannerebbero alla fame; se gli inverni preservassero sé stessi, non ci sarebbe la meraviglia della primavera.
Abbiate il coraggio di sostituire le paure coi sogni: non amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!”.
“Maestri di umanità. Maestri di compassione. Maestri di nuove opportunità per il pianeta e i suoi abitanti. Maestri di speranza”. È il sogno dell’anziano Papa per i giovani universitari. Prendersi cura della casa comune vuol dire non accontentarsi “di semplici misure palliative o di timidi e ambigui compromessi”: “le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro, in nome del progresso si è fatto strada troppo regresso”. “Voi siete la generazione che può vincere questa sfida”, l’incoraggiamento di Francesco: “avete gli strumenti scientifici e tecnologici più avanzati ma, per favore, non cadete nella trappola di visioni parziali.
Non dimenticate che abbiamo bisogno di un’ecologia integrale, di ascoltare la sofferenza del pianeta insieme a quella dei poveri; di mettere il dramma della desertificazione in parallelo con quello dei rifugiati; il tema delle migrazioni insieme a quello della denatalità; di occuparci della dimensione materiale della vita all’interno di una dimensione spirituale.
Non polarizzazioni, ma visioni d’insieme”. “Una vita senza crisi è una vita asettica, è come l’acqua distillata: non ha nessun sapore, non sa di niente, non serve a niente”, le parole rivolte a braccio ai giovani di Scholas occurrentes, incontrati nella loro sede di Cascais ed esortati a “sporarsi le mani”. “Dio ci chiama proprio nelle nostre paure, nelle nostre chiusure e solitudini”, il messaggio rassicurante dal Parque Eduardo VII: Dio
“non chiama quelli che si sentono capaci, ma rende capaci quelli che chiama”.
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