M. Chiara Biagioni
Le file in macchina, le attese, la mancanza di carburante, i check point organizzati per le registrazioni, la stanchezza. Si sono ripetute in questi giorni anche in Armenia le immagini degli sfollati in fuga dal Nagorno Karabakh, dopo che il 19 settembre le forze azere hanno aperto il fuoco contro le postazioni armene, in quella che è stata definita un’ “operazione antiterrorismo”. Sul posto, ad aiutare gli armeni giunti al confine, c’era anche Christina Petrosyan, avvocato, attivista per i diritti umani e presidente dell’ong “legal culture”. “Siamo andati lì immediatamente con un gruppo di giovani volontari – racconta – ed abbiamo soccorso le persone che a bordo delle macchine stavano entrando in Armenia. Abbiamo distribuito cibo, acqua, e dolci per i bambini”. La strada per raggiungere i primi centri di registrazione di Goris e di Vayk è lunga. Il traffico era congestionato e alcuni hanno dovuto dormire in macchina anche una notte, prima di poter continuare il cammino.
“Erano distrutti e affamati”.
Il governo ha pianificato un complesso sistema di prima accoglienza. Secondo i dati forniti dalle autorità, aggiornati al 4 ottobre, il numero degli sfollati forzati dal Nagorno Karabakh è di 100.625 persone di cui 29 mila sono bambini. 21.195 sono invece i veicoli che hanno attraversato il ponte Hakari. Il numero invece di persone registrate è di 95.711, pari al 95% degli sfollati. La registrazione è fondamentale per poter accedere ai programmi di sostegno statale e ai vari centri di accoglienza predisposti in tutto il Paese. Ai punti di registrazione, le persone ricevono una carta bancaria dove potranno accedere nei prossimi giorni al sostegno finanziario, una carta telefonica armena, informazioni utili, una prima valutazione sui bisogni delle famiglie e infine la destinazione finale. Nel Report del governo vengono indicate le città ospiti ma “molti hanno rifiutato le destinazioni suggerite perché vogliono andare a Yerevan”, nella capitale, dove però – racconta l’avvocato – i prezzi degli alloggi sono molto alti ed è diventato ora anche molto difficile trovare case libere. Molte famiglie si mettono insieme. Mi è capitato di andare in un appartamento dove vivevano 19 persone”.
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