(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Alberto Baviera

“Siamo passati in 10 anni da un milione a 6 milioni di italiani sotto la soglia di povertà assoluta. Non basta cambiare gli acronimi delle misure di contrasto alla povertà per arginare un fenomeno ormai strutturale. Servono invece misure e politiche strutturali e non bonus, che non hanno mai risolto i problemi del nostro Paese”. Così Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà in Italia, commentando al Sir i contenuti della Legge di bilancio licenziata dal Governo e ora all’esame del Parlamento.

Pochi giorni fa l’Istat ha diffuso i dati della povertà in Italia nel 2022 (5,6 milioni di persone in povertà assoluta e poco meno di 2,2 milioni di famiglie). Voi avevate espresso preoccupazione chiedendo non misure temporanee ma politiche di contrasto alla povertà convinti che “per combattere un fenomeno strutturale come la povertà, servono misure altrettanto strutturali”. La Legge di bilancio presentata in Parlamento va nella direzione da voi auspicata?
Una valutazione complessiva può essere fatta tenendo conto che il Governo nei primi mesi della sua vita ha avviato delle riforme importanti che hanno un’incidenza abbastanza strutturata su ciò che avverrà nel corso dei mesi prossimi.

L’immagine del nostro Paese che ci restituiscono i dati Istat, con un aumento della povertà assoluta, richiederebbe un cambio di marcia dal punto di vista delle politiche per aggredire innanzitutto la povertà assoluta: una condizione che evidentemente toglie il respiro,

cioè toglie ogni possibilità di riscatto alle persone perché le mette in una situazione in cui è difficile immaginarsi un futuro. Al di là della Legge di bilancio va posta attenzione anche alle riforme…

A quali si riferisce?
A quelle che probabilmente agiranno in questo quadro già di per sé negativo, non aiutandolo. Se questo Paese si è fortemente impoverito e se sappiamo che tra le categorie che si sono più impoverite ci sono quelle formate da persone che vivono soprattutto al Sud Italia, allora viene da chiedersi cosa succederebbe nel momento in cui dovesse passare la riforma in senso regionalista dello Stato.

Se dovesse essere approvato il regionalismo differenziato, siamo in grado come Paese di affrontare un trauma così profondo con interi territori che sono sprovvisti di strutture? Sappiamo, per esempio, che i livelli essenziali delle prestazioni che già dovevano essere realizzati non sono una realtà di fatto.

Rispetto alla infrastrutturazione del Paese, a partire da quella sociale, accusiamo un ritardo che sta diventando pesante. E questo ritardo noi riteniamo abbia una relazione covalente con l’aumento della povertà.

Tornando alla Legge di bilancio, cosa non vi convince?
Se non si capisce che l’inflazione, che nel nostro Paese ha raggiunto cifre che fanno tremare le vene ai polsi, è una tassa piatta sulle persone economicamente fragili, perché il carrello della spesa aumenta, la benzina aumenta, perché vestirsi costa più caro… se non si ha contezza della situazione reale non possono essere individuate soluzioni efficaci.

Il Paese reale dev’essere conosciuto altrimenti si fanno leggi e si adottano provvedimenti che evidentemente non considerano i fatti veri che accadono in Italia in questa parte della storia.

Non sto incolpando nessuno, dico soltanto che il ruolo più importante che la politica deve svolgere è quello di capire i problemi e di prevenirli.

Cosa chiedete alla classe politica?
Di avere un’idea e una visione chiare del Paese. Siamo passati in 10 anni da un milione a 6 milioni di italiani sotto la soglia di povertà assoluta: se ciò è accaduto è perché qualche distrazione c’è stata. Piuttosto che avere attenzione e capacità politica di prevenire quello che sarebbe diventato un fenomeno fuori controllo ci siamo crogiolati per il fatto che bastasse cambiare gli acronimi alle misure di contrasto alla povertà: sono state chiamate in 5 modi diversi e alla fine la gente è rimasta povera.

Servono misure e politiche strutturali e non bonus,

che non hanno mai risolto i problemi del nostro Paese; sono palliativi, certamente possono aiutare a dare sollievo in qualche situazione, in qualche circostanza particolare. Ribadisco: non è dei bonus che l’Italia ha bisogno ma di politiche strutturali.

In più occasioni avete auspicato il ritorno ad una misura universale in favore di tutti quei nuclei familiari che si trovano in una difficile condizione economica, indipendentemente dall’età dei loro componenti. Continuate ad essere convinti della sua necessità?
Certo, riteniamo sia fondamentale disporre di una misura che non sia categoriale, ma che sia universalistica, anche per rispetto della tradizione democratica di questo Paese e della sua Costituzione. Una misura che esiste già in molti Paesi europei, penso naturalmente a quelli che hanno una storia di welfare più importante, come l’Inghilterra, la Germania o la Francia, ma penso anche all’Ungheria. Mi faccia aggiungere un aspetto a tal proposito.

Dica?
A regime, la legge 85 che ha modificato il Reddito di cittadinanza farà risparmiare allo Stato circa 2,5-3 miliardi di euro. Se fossero state destinate con la Legge di bilancio più risorse alle Amministrazioni comunali, cioè a quei luoghi di prossimità ai cittadini che hanno fragilità sociali, avremmo riconosciuto che in un momento di difficoltà si era provato a dare alle Amministrazioni comunali un supporto sui bilanci perché possano affrontare situazioni di crisi. Ma tutto questo non c’è, mentre c’è il rischio che aumenti il numero di chi finirà in un imbuto che troverà spazio nei corridoi degli assessorati ai Servizi sociali o nelle anticamere degli uffici dei sindaci. Ciò detto, è ovvio che

bisognerà agire in modo che la presa in carico delle persone che hanno più difficoltà sia fatta tenendo conto che la povertà nel nostro Paese è aumentata per una serie di ragioni, che non sono dipendenti dalla volontà delle persone. E dobbiamo smetterla di pensare che la gente ha piacere a vivere una condizione di fragilità sociale.

Il presidente del Consiglio e le forze di maggioranza hanno blindato il testo della Legge di bilancio. Non dovrebbe esserci spazio per emendamenti e modifiche. Voi però non farete mancare il vostro apporto e le vostre proposte…
Vorremmo discutere della Legge di bilancio e, nel caso, indicheremo al governo alcune eventuali possibili modifiche rispetto al testo consegnato al Parlamento. Ma al di là della manovra,

riteniamo indispensabile che si apra una fase di ascolto nella quale ci si sieda attorno ad un tavolo con voglia e desiderio di aiutare il Paese ad uscire fuori dalle secche e insieme si immaginano quali sono le politiche da promuovere, senza nessuna impostazione ideologica. Perché al contrasto della povertà questo non è utile.

Credo che le organizzazioni sociali e sindacali siano pronte e disponibili, così come lo è l’Alleanza contro la povertà. Inoltre, siccome i Comuni sono i luoghi di prossimità nei quali queste questioni debbano essere trattate come questioni di ultima istanza, sono le Amministrazioni comunali che devono essere sostenute perché possano effettuare quella presa in carico delle persone fragili che fino a questo momento non è stata fatta. Infine, nelle comunità bisogna insieme costruire reti di relazioni, di rapporti che siano in grado di far capire alle comunità stesse che devono essere loro ad aiutare le persone che si sono trovate in condizione di povertà ad uscirne. In sostanza,

non è solo un provvedimento legislativo che risolverà il problema ma un forte rilancio del ruolo delle comunità.

Il nostro ordinamento prevede già con la Legge sul Terzo settore, articolo 55, la possibilità di una coprogettazione e coprogrammazione. Questa è certamente una leva importante. Come lo è anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza: non solo dobbiamo preoccuparci di investire bene i fondi ma anche di raccoglierne alcuni aspetti.

Ad esempio quali?
Se con il governo Draghi si è riusciti dopo 25 anni ad introdurre nel Pnrr la riforma della non-autosufficienza per un Paese come l’Italia che è il più vecchio in Europa, se una volta approvata la legge 33 poi nella Legge di bilancio non c’è stanziato neppure 1 euro dove pensiamo di andare? Se i 350 milioni di euro che sarebbero serviti per i decreti applicativi sulla nuova legge sulla invalidità vengono allocati da un’altra parte nel bilancio dello Stato, come le avviamo queste riforme? I provvedimenti legislativi che hanno indicato un percorso ci sono, per cui non è tutta buia la notte. Alcune cose sono state fatte, solo che bisogna recepirle e bisogna dar loro le gambe. Perché altrimenti diventa tutto più difficile.

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