DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Oggi, Gesù, sferra un duro attacco contro gli scribi, i farisei, coloro, leggiamo nel Vangelo, che si sono seduti sulla cattedra di Mosè, che si presentano, cioè, come continuatori del suo insegnamento. Con molta forza Gesù mette allo scoperto le contraddizioni degli avversari, svelandone l’ipocrisia.
Ma non vogliamo fermarci qui, solo a raccontarci e godere delle bacchettate che Gesù riserva ai capi religiosi del suo tempo. L’intenzione dell’evangelista Luca è quella di smascherare atteggiamenti simili, possibili e reali della comunità cristiana di ogni tempo. In questo senso, è un testo di grande libertà interiore, libertà a cui si arriva non attraverso denunce del comportamento di altri, ma attraverso il riconoscere e portare alla luce della verità, quel male sottile che è dentro ciascuno di noi.
Il discorso di Gesù è rivolto, infatti, alla folla e ai suoi discepoli: «…praticate e osservate tutto ciò che vi dicono ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno».
Gli scribi e i farisei hanno un’autorità che va riconosciuta; Gesù, infatti, ribadisce «praticate e osservate tutto ciò che vi dicono», ma, è proprio sulla base di questo riconoscimento, che nasce la critica. E sono due i rimproveri che muove loro il Signore. Innanzitutto, l’incoerenza: «…essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito».
Gesù smaschera che, spesso, ciò che viene prescritto dalla religione è solo volontà umana; si spacciano pensieri e interessi per “diritto divino” schiacciando, di fatto, le persone con precetti, comandamenti, norme morali, obblighi pesantissimi da portare.
L’altro rimprovero è quello del voler apparire: «Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente […]; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbi” dalla gente».
Questo è il vizio di chi pensa di avere un potere sugli altri e vuole dunque mostrarlo, per essere riconosciuto dalla gente. Una sorta di esibizionismo religioso purtroppo tanto presente, ancora oggi, nelle nostre chiese.
«Ma voi non fatevi chiamare “rabbi” perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “Padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo».
Qual è il pericolo? Il pericolo è quello di non accettare la realtà di un Padre che è nei cieli, un Padre che è il principio, l’origine della vita, il pericolo, cioè, di non accettare di essere figli, originati da un altro che non siamo noi; il pericolo, ancora, di non accettare che c’è un’unica Guida, Gesù Cristo, che, con il suo Vangelo, ci indica la via da seguire, quella del bene verso tutti, della compassione per ogni creatura e del perdono come atto di resurrezione; il pericolo di non accettare la realtà di uno Spirito che ci abita, che ci fa amare il Padre, che ci fa sentire figli e fratelli, l’unico che può accompagnarci verso la verità tutta intera, verità che non possiamo trovare e abbracciare da soli.
E tutto questo cosa ha come conseguenza? Ce lo dice il profeta Malachia nella prima lettura: «…dice il Signore […]: voi […] avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento […], non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel mio insegnamento».
Non riconoscere Dio come unico Maestro, Padre e Guida, porta ad una testimonianza di vita cristiana fuorviante per il popolo, la testimonianza di una fede distorta che diventa ostacolo, per chi incontriamo, al personale incontro con il Signore.
Vogliamo, allora, far nostre le parole di Gesù, «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo», attraverso la preghiera del salmista: «Signore non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me. Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia».
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