Stefano De Martis
Salari, “lavoro povero” e migrazioni giovanili. Secondo la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) sono queste le questioni più urgenti per il Paese.Il Rapporto 2023, presentato oggi, martedì 5 dicembre, a Roma, stima per quest’anno un aumento del Pil delle regioni meridionali pari allo 0,4% a fronte del +0,8% del Centro-Nord e di una media nazionale del +0,7%. Il dato però presenta forti differenziazioni regionali: si va dal +1,1 della Lombardia e dal +1% dell’Emilia Romagna allo +0,2% di Calabria e Sardegna.Per il 2024 la previsione è di un andamento allineato tra Centro-Nord e Sud mentre nel 2025 si riaprirà il divario. Molto dipenderà comunque dall’attuazione del Pnrr, a cui la Svimez attribuisce un’importanza decisiva nell’evitare una recessione nelle regioni del Mezzogiorno: attualmente la quota di progetti messi a bando e delle aggiudicazioni presenta delle differenze molto significative rispetto al Centro-Nord, rispettivamente 31% contro 60% e 67% contro 91%. Il Rapporto mette quindi in evidenza “le criticità in ordine ai limiti di capacità amministrative delle amministrazioni locali meridionali e all’urgenza di rafforzarne organici e competenze”.
Intanto il Sud continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati.
Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord. Al netto dei rientri, il Sud ha perso oltre un milione di residenti.
La Svimez stima che tra il 2022 e il 2080 la popolazione del Mezzogiorno, oggi pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà al 25,8%. In particolare le regioni meridionali dovrebbero perdere più della metà (-51%) della fascia più giovane (0-14 anni) e diventare l’area più vecchia del Paese. “Occorre mettere in campo politiche attive di conciliazione di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare”, sottolinea il Rapporto, secondo cui
“il potenziamento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno è cruciale per contrastare il declino demografico”.
Una donna single nel Sud ha un tasso di occupazione del 52,3%, comunque lontanissimo dalla media europea del 72,5%. Ma se ha figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni il tasso scende al 41,5% e precipita al 37,8% se i figli hanno fino a 5 anni (61,5% al Centro-Nord).
La Svimez rileva inoltre che nel 2022 l’inflazione ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli, concentrate nel Mezzogiorno, dove il reddito disponibile delle famiglie è sceso del 2,9%, oltre il doppio rispetto al -1,2% del Centro-Nord. Né l’incremento dell’occupazione, che rispetto a prima della pandemia ha segnato una ripresa maggiore nel Sud rispetto al resto del Paese, è stato in grado di alleviare il disagio in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari. Nel 2022 si contavano nel Mezzogiorno 2,5 milioni di famiglie in povertà assoluta, con un aumento di 250 mila rispetto al 2020 (-170mila nel Centro-Nord).La Svimez guarda con grande preoccupazione alla prospettiva dell’autonomia differenziata che “espone l’intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche chiamate a definire una strategia nazionale per la crescita, l’inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese”, aggravata da “un congelamento dei divari territoriali di spesa pro-capite già presenti” e da “un indebolimento delle politiche nazionali redistributive”, sia tra le persone che sul piano territoriale.
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