“Serbatoi d’acqua posti sul tetto distrutti, stessa sorte per i pannelli solari, carburante esaurito, dunque scarse possibilità di produrre energia elettrica e di garantire un minimo di comunicazione stabile. Danni agli edifici e alle macchine parcheggiate all’interno provocati da schegge di bombardamenti caduti nella zona”.
Sono le poche e scarne notizie che arrivano dalla parrocchia latina della Sacra Famiglia, l’unica cattolica della Striscia di Gaza, dove stanno trovando rifugio circa 600 persone.
A fornirle è l’amministratore generale del Patriarcato latino di Gerusalemme, Sami el Yousef. Il compound parrocchiale comprende, oltre alla chiesa, la scuola, l’asilo, tre conventi e due case per la cura dei bambini con handicap e anziani e vari ambienti parrocchiali, come un campo polivalente e saloni per l’attività pastorale. L’amministratore generale avverte che “stanno finendo anche le scorte di farina e che per questo motivo il pane viene cucinato sul posto solo a giorni alterni, quando le condizioni lo permettono. Comincia a scarseggiare anche il cibo, l’acqua e le medicine”. La situazione è resa ancora più grave dal fatto che “per motivi di sicurezza nessuno può uscire dalla parrocchia e nessuno si può avvicinare”. “Adesso, ad aggiungere sale sulla ferita – denuncia el Yousef – è il veto degli Stati Uniti alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu” che chiedeva il “cessate il fuoco umanitario a Gaza” e definiva la situazione umanitaria “catastrofica”. “Cosa sta aspettando il mondo?”, è il grido dell’amministratore generale. Il testo della risoluzione, presentato dagli Emirati, chiedeva anche la protezione dei civili, il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi ancora detenuti da Hamas. Alle parole dell’amministratore fanno eco quelle di George Antone, referente di Caritas Gerusalemme a Gaza: “Finora siamo sopravvissuti a tutto ciò che è stato e crediamo che sopravviveremo a tutto ciò che sarà. Il nostro Dio non ci ha mai lasciati e non ci abbandonerà. Per favore – è l’appello – teneteci nelle vostre preghiere”. Come è noto, dopo l’ordine israeliano di evacuazione dal nord di Gaza, la quasi totalità della comunità cristiana di Gaza (1017 fedeli, in maggioranza ortodossi, poco più di 100 sono i cattolici, ndr.) ha scelto di restare e trovare rifugio nella parrocchia ortodossa di san Porfirio e in quella latina della Sacra Famiglia, situate nel quartiere di Zeitoun, a Gaza city.
Lo scorso ottobre raid israeliani hanno bombardato e distrutto una parte della parrocchia ortodossa compreso un vicino centro pastorale e culturale, provocando 18 morti. Da quel momento molti cristiani si sono trasferiti nella parrocchia latina dove attualmente sono accolte 600 persone. “Se dobbiamo morire moriremo nella casa del Signore, in chiesa, piuttosto che in luoghi dove non abbiamo un tetto e del cibo” raccontano i cristiani sfollati nella parrocchia latina, come più volte ripetuto al Sir da suor Nabila Saleh, una delle religiose rifugiate in parrocchia. Diversi cristiani, in possesso di doppio passaporto, sono riusciti ad uscire durante la recente pausa umanitaria, dal valico di Rafah al confine con l’Egitto. Secondo fonti locali interpellate dal Sir “praticamente tutte le famiglie cristiane di Gaza non hanno più la casa per via dei bombardamenti”. Intanto si aggiorna il bilancio della guerra: i palestinesi morti, secondo i dati forniti dal ministero della Salute di Hamas, sarebbero circa 17.200, di cui 7.112 bambini. Israele segnala 1.200 morti dall’attacco del 7 ottobre. I rapiti sono 174. I soldati morti nell’offensiva di terra (partita il 27 ottobre) sono 96, salgono a oltre 400 dall’attacco del 7 ottobre.
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