Di Marco Testi
La solennità dell’Immacolata Concezione è anche l’occasione per valutare l’importanza della figura mariana nella letteratura di tutti i tempi e luoghi. Anche quando non è lei ad essere direttamente protagonista, come accade nei Promessi sposi.
Qui è Lucia a diventare figura mariana, a partire dal cognome Mondella, che allude alla purificazione del mondo,e non è una notazione peregrina in un universo culturale come quello di Manzoni: lo scrittore aveva nella sua biblioteca il Cratilo di Platone dove Socrate sostiene che il nome deve essere simile alla cosa. Ed è per questo che alcuni hanno fatto notare come il nome della sposa promessa non sia una scelta casuale, ma una allusione alla Vergine come Stella del mattino, portatrice di luce spirituale: il che avviene fin dalla descrizione fisica di Lucia, che, come ha fatto notare uno studioso manzoniano, Angelo L. Pupino, ricorda molto la Sposa del Cantico, anche per il colore nero dei capelli annodati in una treccia. Senza dimenticare la descrizione manzoniana della fanciulla, con quegli spilli d’argento “che si dividevano all’intorno, quasi a guisa dei raggi di un’aureola”.
Lucia appare quindi come una sorta di immagine della Vergine, calata nella cruda realtà di una storia in cui la violenza, anche quella verso le donne, era parte integrante del sistema neo-feudale delle terre in cui si svolge il racconto manzoniano. Durante la prigionia nel castello dell’Innominato, in attesa di essere consegnata a don Rodrigo, Lucia si abbandona ad una preghiera alla Vergine, e il romanzo si conclude con l’annuncio della nascita di una bambina, alla quale, “potete credere” scrive l’autore rivolgendosi con modestia ai suoi venticinque lettori, “che le fu messo nome Maria”.
Maria nei Promessi sposi è una presenza che potremmo chiamare ostensiva, vale a dire sempre operante anche quando non viene nominata, e non è solo nel capolavoro manzoniano che questo accade.
Basti pensare a Dante che richiama la pietà mariana fin dall’inizio della sua Commedia,quando nel secondo canto dell’Inferno Virgilio racconta di essere stato interpellato da Beatrice per aiutare Dante a ritrovare la “diritta via”. La Vergine si era rivolta prima, e qui torniamo al discorso di Manzoni, a santa Lucia, che poi chiederà a Beatrice di soccorrere dal peccato “quei che t’amò tanto”. Ancora una volta una Lucia mediatrice tra la Vergine e luce nel buio del cammino degli uomini. Per arrivare poi alla assoluta celebrazione di Maria come guida dell’umanità minacciata dai suoi stessi errori e di Dante medesimo che deve affrontare una grande prova: resistere all’urto inumano della visione divina, che ancora una volta avviene attraverso la mediazione di un personaggio, in questo caso san Bernardo, che intona una preghiera all’Immacolata.
Sono parole celebri,che qui ci aiutano a cogliere l’immagine che gli scrittori hanno di una Signora mediatrice delle preghiere del cuore, quelle che vengono dagli abissi umani,che addirittura non attende la richiesta di grazia, ma “molte fiate liberamente al domandar precorre”.
Concezione che passa attraverso i secoli seminando testimonianze poetiche e narrative in Petrarca, perfino Lorenzo il Magnifico, fino al ritorno alla fede di uno dei grandi del Novecento, quell’Eliot che aveva documentato nella sua “Terra desolata” la perdita di senso dell’uomo novecentesco, e che aveva ritrovato nell’immagine mariana la nuova strada.
Ora la voce che aveva gridato la grande crisi può cantare una nuova immagine femminile, come in passato in parte donna, in parte angelo, infine riflesso dell’Intoccata, la “Signora dei silenzi/ quieta e affranta (…) La Rosa unica”, sorella e madre, cui va l’antico omaggio dell’uomo nuovo che ha finalmente ritrovato una strada, e un senso.
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