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M. Chiara Biagioni
(da Kyiv) Finita la liturgia, nessuno esce dalla cattedrale. Rivolti verso l’altare, i fedeli intonano la “Molytva za Ukrayinu”, “Preghiera per l’Ucraina”, un inno patriottico e spirituale ucraino. Viene cantato con solennità. Non ci sono rumori. Tutto si ferma. Il clima che si respira a Kyiv è racchiuso qui, in questo canto e in questi volti piegati dal freddo dell’inverno e dai segni della guerra. Siamo nella Cattedrale greco-cattolica della Risurrezione di Cristo di Kyiv. Appena due settimane fa, il 25 novembre, l’edificio è stato danneggiato a seguito di un massiccio attacco sferrato dai russi con droni d’assalto. Uno degli “Shahed” lanciati contro la capitale, è stato abbattuto nel quartiere vicino alla Cattedrale ma l’onda d’urto ha danneggiato le porte e fatto crollare le finestre.È un Natale dimesso a Kyiv. Non c’è famiglia qui che non abbia perso qualcuno in battaglia o che non abbia qualche parente stretto impegnato sul fronte. Fratelli, mariti, padri.Dopo la liturgia, un giovane alto, in divisa verde, si avvicina al vescovo Bohdan Dzyurakh che ha appena concelebrato insieme a Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk. Gli chiede, stringendogli forte le mani, di benedirlo e di seguirlo con la preghiera. Era in partenza per il fronte.
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