Ibrahim Faltas
La Luce del Natale a Betlemme e in Terra Santa è offuscata dalla preoccupazione di un futuro che la guerra ha reso buio e lontano. Domenica 24 dicembre, Vigilia del Santo Natale, abbiamo avuto l’ingresso, secondo lo Statu Quo, del Patriarca, cardinale Pierbattista Pizzaballa, accompagnato dall’inviato del Papa, cardinale Konrad Krajewski che ha portato il saluto e la vicinanza paterna di Sua Santità alla Terra Santa. Questa stessa giornata negli anni scorsi, era un’occasione speciale per tutti gli abitanti di Betlemme e per i pellegrini che arrivavano numerosi da tutto il mondo. Per queste festività riuscivamo a fare arrivare anche alcuni cristiani da Gaza, che dista solo 70 km da Betlemme. Non c’era nessuna distinzione di razza o di religione: tutti sapevano di essere nati a Betlemme, città della Pace. È stato un Santo Natale senza le luminarie ma con la Luce più intensa del Salvatore. La chiesa di Santa Caterina e la Grotta nella Basilica della Natività hanno visto la numerosa presenza di cristiani locali, che di solito lasciavano il loro posto ai pellegrini che arrivavano a Betlemme da tutto il mondo per la Santa Messa di mezzanotte.
Mi sono emozionato a vedere tantissime persone che insieme pregavano per la Pace e piangevano per la sofferenza provocata dalla guerra. Non posso pensare alla Terra Santa senza cristiani locali. I Luoghi Santi, senza la presenza della preghiera e delle celebrazioni di chi qui è nato e si è formato alla fede cristiana, rischiano di diventare solo un patrimonio artistico. Dopo 30 anni ho potuto celebrare nella Grotta nella notte Santa, perché quest’anno il rigido protocollo non mi ha molto impegnato per l’assenza del presidente Abu Mazen alla celebrazione di mezzanotte.
Gesù Bambino nacque povero, umile, indifeso fra l’indifferenza della gente. Solo i semplici e gli ultimi seguirono la Stella per trovare il Principe della Pace. Dobbiamo fare come quei pastori, dobbiamo seguire con fiducia la Stella che porta alla Pace. Gesù Bambino allora conobbe la povertà, il freddo, la fame, la mancanza di una casa, la paura e la fuga come oggi accade ai Gesù Bambino della Terra Santa di oggi. Dobbiamo sentire forte la volontà di continuare a sperare e la necessità di guardare in alto perché “nulla è impossibile a Dio”. La fragilità di un Bambino appena nato, che ha portato la salvezza, è la forza per arrivare alla Pace.
Oggi e sempre Gesù Bambino insegna al mondo il rispetto per la vita, l’Amore per il prossimo, per tutta l’umanità.
Anche quest’anno nel giorno di Santo Stefano, i frati si sono riuniti nell’infermeria del Convento di San Salvatore per una Santa Messa presieduta dal padre custode, Francesco Patton, per essere vicini e per pregare insieme ai confratelli anziani e ammalati.
Nel pomeriggio siamo andati in pellegrinaggio, come è tradizione, intonando i vespri nel luogo del martirio del primo martire Santo Stefano.
Sono giorni intensi e divisi fra la gioia del Natale e il dolore per la tragedia della guerra ma dobbiamo sentire forte la volontà di continuare a sperare. La situazione in Terra Santa è molto grave: siamo sconvolti dalla violenza che distrugge e dall’odio che divide. Sono convinto che come 2023 anni fa Gesù Bambino è nato ancora per portare salvezza e vita nuova a questa umanità ferita. Domenica scorsa Papa Francesco ci ha chiesto di amare il prossimo come Dio ama noi: accogliendo, proteggendo e rispettando gli altri, con la stessa gentilezza che Dio usa con noi.
Spesso mi chiedono come si può aiutare la Terra Santa. Rispondo che la Terra Santa ha bisogno di essere ricordata soprattutto nella preghiera per tutti coloro che qui vivono e soffrono questa terribile situazione. Si possono sostenere opere e progetti che cercano di offrire la dignità del lavoro, un supporto in ambiti importanti come l’istruzione e la sanità e sarà sempre importante impegnarsi a continuare a lavorare per la Pace
Da Betlemme vi giunga la Luce del Salvatore, che porta Pace e serenità a tutta l’umanità!
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