Nicola Salvagnin
Com’era chiara e semplice la guerra fino a pochi anni fa. La facevano i soldati mandati al fronte con fucili, bombe, cannoni, carri armati, aerei, navi appunto da guerra. E così è andata per tutto il Novecento, fino a Iraq 2004.
Oggi è tutto diverso, e diventa complicato capire addirittura quali siano le armi, in una guerra. Abbiamo una certezza: il 2023 è stato un anno d’oro per i produttori di armamenti, c’è stata un’enorme “richiesta” sia da chi li utilizza, sia da chi vuole riarmarsi. Ma è il concetto di arma che è completamente cambiato: lo è un drone, che può essere utilizzato per monitorare un campo coltivato così come per trasportare bombe fino a un determinato obiettivo? Lo è un sofisticato sistema di puntamento, ormai fondamentale appendice di un lanciarazzi? Lo è un satellite spaziale, utilizzabile per svariati motivi, compresi quelli bellici? E chi lavora a un microchip o alla realizzazione di determinati pneumatici, può essere definito un addetto dell’industria bellica?
Per il settore, comunque, il 2023 è stato un anno “magico”, sia per la quantità di armi (di qualsiasi tipo) utilizzate – il Donbass ha svuotato interi arsenali –, sia per testarne l’efficacia. E realizzarne di ancora più micidiali. Si pensi appunto ai droni, sempre più sofisticati.
E se le armi sono ormai in continuo e micidiale cambiamento, pure i “soldati” stanno modificando la pelle: sempre più tecnici informatici che, da remoto, comandano missili o dirigono bombardamenti. A fine secolo, le guerre saranno combattute sul fronte da robot. E non è fantascienza. Ma bisognerà allora capire come sarà un “fronte di guerra”.
Nel frattempo, grassi utili per un’industria che negli ultimi anni si era ammosciata a produrre soprattutto kalashnikov per bande armate africane e pistole per le polizie. A pieno regime hanno funzionato solo le fabbriche americane, cinesi e della Corea del Nord; oggi un terzo dell’economia russa è stata convertita a scopi bellici.
In Europa ci sono specializzazioni: i francesi (e non solo) con gli aerei; gli italiani (e non solo) con navi da guerra e mine; i tedeschi con carri armati e mezzi meccanici; i belgi con i proiettili… Ma dal Dopoguerra in poi, si è preferito comprare più che produrre; e poi non comprare proprio, tant’è che molti eserciti europei dispongono di un arsenale misero. Compreso quello italiano: tanto, ci pensano gli americani…
Se non è possibile scrivere un dato preciso sull’industria mondiale degli armamenti (diciamo che molte dittature non sono particolarmente trasparenti in merito, gli iraniani stanno spendendo budget immensi per dotarsi dell’atomica), si sappia solo che un singolo carro armato Leopard costa sui 15 milioni di euro; un aereo caccia di ultima generazione sta intorno agli 80 milioni; una portaerei oltre 4 miliardi. Ma i droni hanno ribaltato il tavolo: con poche decine di migliaia di euro si può bombardare una città ucraina, si può affondare una nave russa. Ah, il progresso!
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