Mauro Ungaro
Ricordare è affidarsi ad un qualcosa che non è presente ora ma che rivive e riprende forma nel momento in cui viene richiamato dal cuore, il luogo dove ciascuno lo custodisce.
Probabilmente è necessario affidarci all’etimologia per comprendere appieno il significato della Giornata del Ricordo che anche quest’anno viene celebrata in tutta Italia il 10 febbraio. Le motivazioni di questa ricorrenza le evidenzia il testo della legge 92/2004: “Conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Per quasi 60 anni, le vicende accadute nella Venezia Giulia, nell’Istria, nella Dalmazia sono state relegate a fatto privato: la Patria aveva voltato le spalle a quegli italiani ed a quelle italiane che avevano trovato tragica morte nelle cavità del Carso o erano stati costretti con la violenza, dall’ideologia titina vincente, ad abbandonare le proprie case e le proprie storie. Una “damnatio memoriae” sostenuta dagli interessi della politica internazionale vissuti in quel momento storico e che ha portato alcuni a negare ed altri a giustificare e minimizzare quanto subito da infoibati ed esuli considerandolo l’inevitabile conseguenza di altre e precedenti violenze.
Della morte di chi ha concluso la sua esistenza nelle foibe, poi, non c’era certezza: non si poteva accedere ad elenchi “ufficiali”, non c’erano corpi da ricomporre, tombe su cui portare dei fiori. E questo è stato l’ennesimo, grave oltraggio a chi era “rimasto”, a mogli non ufficialmente vedove, a figli non ufficialmente orfani… Rimaneva solo il ricordo, conservato nel profondo del cuore, di volti i cui tratti erano sempre meno nitidi e la cui immagine veniva rimandata solo da qualche cartolina ingiallita.
L’illusione di vedere ricomparire i propri cari sulla porta di casa a poco a poco, anno dopo anno, si è trasformata nella speranza di avere almeno un luogo dove piantare una croce o recitare una preghiera… Ma anche questa, per quasi mezzo secolo, è rimasta un’utopia.
I tempi sono cambiati.
Le storie di chi se ne era andato e di chi era stato inghiottito dal buio senza tempo delle foibe sono, a poco a poco, uscite dall’oblio della memoria: è stato, persino possibile, individuare molti dei luoghi in cui i corpi di civili, militari e religiosi, italiani, sloveni, tedeschi, croati sono stati oggetto di una violenza talmente insensata ed inumana che sarebbe nel torto chi anche solo provasse a trovarne una ragione.
Le popolazioni di questa parte d’Europa hanno avviato cammini di riconciliazione e di incontro anche grazie all’impegno profetico di chi sapeva guardare oltre i fili spinati che segnavano i confini per costruire un domani diverso e, se possibile, migliore. E così poteva riprendere quella convivenza “esercitata per lungo tempo, con fatica ed a fasi alterne fra etnie, culture, lingue, religioni in quel lembo di terra bagnato dall’Adriatico”, cui ha fatto riferimento il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo lo scorso anno in occasione della ricorrenza del 10 febbraio.
Ed ecco, allora, la stringente attualità di questo Giorno: il Ricordo cessa di essere un qualcosa che appartiene al passato per divenire un elemento fondamentale da donare al prossimo e su cui costruire il futuro. Insegnando, soprattutto alle nuove generazioni, che la via della pace passa, inevitabilmente, dal considerare la diversità ed il dialogo come ricchezze irrinunciabili.
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