La disoccupazione giovanile sta toccando livelli drammatici, i numeri dicono che moltissimi ragazzi non trovano uno straccio di lavoro, e molti di questi sono addirittura demotivati, non lo cercano più. Al netto delle statistiche, dentro le quali ci stanno troppe situazioni drammatiche, si può sommessamente affermare che una fetta di questi giovani è volontariamente e serenamente disoccupata? Che una parte dei nostri figli è “bambocciona” (da celebre dichiarazione dell’ex ministro Padoa Schioppa) oppure “choosy”, un po’ schizzinosa come si lasciò scappare un altro ministro, quell’Elsa Fornero che fu quasi lapidata per questa parolina? Convegno sul lavoro che manca.
Parla il responsabile risorse umane di una grande azienda del Nord. Si lascia sfuggire che uno dei problemi maggiori in cui incappa, è la richiesta – fatta da moltissimi giovani al colloquio per l’assunzione – di poter tornare a casa a mezzogiorno per… mangiare in famiglia. Bella cosa, ma quanto a spirito di sacrificio e disponibilità…
Intervista ad un navigato professionista nel settore delle agenzie di collocamento. Ammette candidamente che moltissimi giovani si dichiarano indisponibili a posti di lavoro che non siano al massimo a 20-25 km da casa.
Direttore di parco divertimenti a primario quotidiano nazionale: non trovo giovani che vengano a lavorare per 800 euro al mese.
Troppo pochi? Soprattutto non vogliono saltare le ferie, mentre il parco divertimenti è proprio d’estate che lavora a pieno ritmo. Aggravante: la struttura si trova nel Mezzogiorno, dove la fame di lavoro dovrebbe essere da record.
E sulla scarsa voglia di perdere la sospirata vacanza al mare, potrebbero testimoniare le tante famiglie con figli piccoli, alla ricerca di una baby sitter: è molto più facile trovare una signora di 50-60 anni, che una ragazza di 20.
E ancora: certe categorie produttive – in particolare gli artigiani – lamentano la grande fatica (eufemismo) per trovare giovani a cui insegnare il mestiere. Nella Bassa Veronese, patria del mobile d’arte e con lunga tradizione di falegnameria industriale, le scuole professionali del settore hanno semplicemente chiuso. Mancavano le iscrizioni.
Si parla ultimamente del forte desiderio delle giovani generazioni di lavorare in campagna. Il forte desiderio è quasi sempre associato ad un agriturismo nelle colline toscane, marmellate e turisti da ospitare in rustici da sogno. Perché non si trova anima viva per impiantare serre per ortofrutta, per certe raccolte, per lavorare negli allevamenti. E sì che gli stipendi non sono certo striminziti.
Così, quando un Comune a vocazione vitivinicola del Nordest ha intelligentemente creato una lista dalla quale le aziende locali possano “pescare” per la vendemmia, non ha stupito riscontrare che gli iscritti fossero perlopiù pensionati, donne di mezz’età, cassintegrati. Di giovani, pochini. Sia chiaro che un vendemmiatore percepisce voucher da 10 euro lordi l’ora (7,5 netti), quindi 1.300 circa nel mese di vendemmia.
La cosa più stupida, in questo caso, è fare di ogni erba un fascio. Ci sono fior di giovani che fanno finti stage a paghe irrisorie e tanto lavoro senza prospettiva; c’è chi corre ai mille all’ora per guadagnare a fatica ciò che gli permette di vivere; c’è chi andrebbe in Libia a spalare sabbia del deserto, pur di iniziare a lavorare. Però non è nemmeno vero che i bamboccioni o gli schizzinosi siano qualche decina e basta. Sono molti ma molti di più: vuoi perché non hanno reale bisogno di lavorare; vuoi perché preferiscono attendere il “loro” lavoro e molti mestieri puzzano di fatica e di scarsa gratificazione. Vuoi per tutte queste ragioni messe assieme, più altre ancora (famiglie poco “stimolanti”, vita comoda, studi sbagliati, una giovinezza considerata tale pure a 35 anni, ecc…). Ma la realtà è anche questa. Quindi si agevolino con ogni mezzo possibile i volonterosi ad entrare nel mercato del lavoro; gli altri, nemmeno ci pensano.
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