Alberto Campoleoni

Stop ai cellulari in classe. A dire la verità è una di quelle dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano. Quante volte, infatti, si è sentito dire? E quante discussioni sono già state fatte in proposito?
Il fatto è che la questione degli smartphone in mano agli studenti è da una parte molto seria, dall’altra estremamente difficile da affrontare.
Partiamo dalla serietà della questione e dal richiamo di attualità che ha portato per l’ennesima volta il tema sotto i riflettori. Lo spunto viene dall’Inghilterra dove una recente circolare introduce nuove linee guida proprio per quanto riguarda l’utilizzo degli smartphone da parte degli studenti e impone ai minori di 16 anni di tenerli spenti nei propri zaini per l’intera giornata scolastica, compresi pausa pranzo e intervalli. E per essere più sicuri ecco l’alternativa: la scuola può farsi consegnare il telefonino all’inizio delle lezioni e proprio per questo molti istituti scolastici si sono già dotati di armadietti specifici, anche con la possibilità di ricarica per gli smartphone.
Un’altra notizia viene sempre dall’Inghilterra e riguarda la preoccupazione dei genitori rispetto all’uso dei cellulari dei loro figli. Un sondaggio, infatti, rileverebbe che il 44% dei genitori inglesi si dice preoccupato del tempo che il proprio figlio trascorre con lo smartphone in mano, percentuale che sale al 50% se si parla dei figli alle superiori.
La serietà della questione parte anche da quest’ultimo dato: quanti sono, da noi, i genitori che si preoccupano seriamente dell’uso dei telefonini a scuola? E quanti hanno accolto con favore le norme che già esistono in Italia su questo argomento? Perché va detto che la scuola italiana non è proprio del tutto impreparata. Infatti, già una circolare del 2022 precisava il divieto di utilizzo dei cellulari in classe. “Distrarsi con i cellulari – dichiarava allora il ministro Valditara – non permette di seguire le lezioni in modo proficuo ed è inoltre una mancanza di rispetto verso la figura del docente, a cui è prioritario restituire autorevolezza. L’interesse comune che intendo perseguire è quello per una scuola seria, che rimetta al centro l’apprendimento e l’impegno”.
Il divieto è entrato in funzione davvero? A giudicare da tanti episodi riferiti dalle cronache e magari legati a episodi di cyberbullismo, sembra di no. A conferma della difficoltà cui accennavamo sopra per l’affronto del problema. Quanti scudi si sono levati contro le limitazioni, quante discussioni sull’utilizzo “didattico” e via di questo passo. Il fatto è che alcune norme – e questa tra le altre – chiedono compattezza e unità d’intenti, in particolare tra scuola e famiglia, un rapporto che oggi spesso fa acqua. Prendere sul serio l’impegno della scuola, le dinamiche di insegnamento/apprendimento, la necessità di tutela di alcuni ambienti e anche delle persone, è la vera questione in gioco. Il ministro Valditara è tornato sull’argomento, promettendo un nuovo giro di vite con cellulari vietati fino alle medie, anche per scopi didattici.
Questione seria e difficile allo stesso tempo, dunque. Per affrontare la quale, in particolare nelle scuole secondarie (medie e superiori), forse occorre un supplemento di responsabilità condivisa. Bene le norme, ma occorre che i divieti vengano recepiti come un reale richiamo al protagonismo di ciascuno all’interno del patto educativo. Insegnanti, famiglie e soprattutto studenti. Il successo del percorso di formazione scolastica si basa sull’accordo fattivo tra le diverse componenti. E su questo vale la pena di insistere.

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