Daniele Rocchi
“Dai pellegrini agli archeologi: racconti, prospettive, suggestioni di fronte al Santo Sepolcro di Gerusalemme”: è stato questo il tema affrontato dalla professoressa Francesca Romana Stasolla ad un convegno organizzato a Roma, nei giorni scorsi, dall’Ufficio nazionale Israeliano del Turismo e dal Cnpi, Coordinamento Nazionale Pellegrinaggi Italiani, con a tema la storia e l’archeologia di Israele. Un argomento che assume ulteriori significati in questa Settimana Santa in cui Gerusalemme e il Santo Sepolcro si presentano come centro della Cristianità.
I diari dei pellegrini. “I pellegrinaggi in quella che la tradizione cristiana definisce Terra Santa per la devozione ai luoghi legati alla venerazione cristologica, partono da molto lontano e contribuiscono essi stessi alla costruzione di una parte della storia di tale territorio” ha spiegato la docente che dirige l’équipe interdisciplinare di archeologi e studiosi della Università di Roma ‘La Sapienza’ (Dipartimento di Studi sul Mondo antico) incaricata dello scavo nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. “La presenza di numerosissimi viaggiatori, mossi da intenti devozionali – ha aggiunto – ha provocato movimenti di genti, idee, un interscambio culturale, una serie di processi economici e sociali che hanno lasciato ampie tracce nei territori d’Oriente e, di rimando, in Occidente”.
Molti di questi pellegrini che, dall’inizio del IV secolo in poi, hanno percorso strade e mari verso la Terra Santa, “hanno scritto diari, allo scopo di informare i propri connazionali circa le modalità del viaggio e i santuari da visitare”. Si tratta, ha affermato la docente, di “opere straordinarie per descrittività e spesso per precisione, che consentono una visione comparata e globale di quelli che erano definiti ‘luoghi santi’ cristiani e di Gerusalemme in particolare”.
“Gli itinerari di pellegrinaggio sono scritti per i propri concittadini, e ce lo dimostrano i tentativi costanti di far comprendere un mondo tanto diverso dal proprio, così che contribuiscono in modo significativo alla intermediazione culturale fra Oriente ed Occidente”.
Diari che ricordano “spazi e architetture sacre e profane, fornendo utilissimi sussidi alla ricerca archeologica attuale. A questi vanno aggiunti manufatti come ampolline per reliquie, acqua del Giordano oppure gli olii che ardevano presso la tomba di Cristo o presso le tombe venerate. Molte di queste, realizzate in terracotta o in metallo, recavano impresse immagini di monumenti e costituiscono preziose fonti iconografiche di fasi architettoniche oggi non più visibili”.
Lo scavo al Sepolcro. Tutti elementi fondamentali, secondo Stasolla, per le ricostruzioni archeologiche funzionali al progetto, avviato nel 2019, e voluto dalle tre principali Comunità che detengono l’uso della basilica del Santo Sepolcro (Patriarcato Ortodosso di Gerusalemme, Custodia di Terra Santa, Patriarcato Armeno di Gerusalemme), che prevede il restauro della pavimentazione delle aree comuni allo status quo della basilica e il conseguente scavo archeologico al di sotto dei piani pavimentali. Si tratta, ribadisce la docente, di “un’iniziativa coraggiosa che permetterà di avere, per la prima volta, una conoscenza completa di tutta la storia archeologica e ambientale del sito pluristratificato”.
Gli scavi, che proseguono con ritmo costante ed alternanza giorno-notte dal maggio 2022, salvo una breve interruzione nei mesi ottobre e novembre 2023, hanno messo in luce, ha spiegato Stasolla, “una sequenza stratigrafica importante, che parte dalla cava, la quale soggiace all’intero complesso con profondità disomogenea, da poche decine di centimetri fino a quasi 6 mt., a causa dello sfruttamento intenso fin dal periodo preromano. Al termine dell’uso, lo spazio della cava dismessa ha visto una riconversione con funzione sepolcrale, mentre piccole zone sono state recintate da muretti a secco e sfruttate come aree a coltivo per ulivo e vite, come documentato da analisi paleobotaniche e polliniche”.
L’area che avrebbe accolto il sepolcro di Cristo, sarebbe stata riportata alla luce, all’inizio del IV secolo, per decisione dell’imperatore Costantino, dopo che nella prima metà del II secolo era stata oscurata da successive costruzioni nell’ambito della riorganizzazione urbanistica voluta dall’imperatore Adriano. Nel suo intervento la docente de La Sapienza ha illustrato una serie di “elementi importanti” messi in luce dallo scavo che “potrebbero restituire la storia del complesso religioso fino all’età moderna, ma occorre ancora completare le indagini per consentire una migliore comprensione delle articolate vicende architettoniche del Santo Sepolcro”. Lo scavo, come più volte ribadito dalla docente, è anche lo stimolo per una riflessione ulteriore riguardante il valore dell’archeologia e del suo contributo al progresso scientifico e culturale:
“inevitabilmente qualsiasi progresso poggia su una base di conoscenza acquisita che altro non è che tutto il background che abbiamo. La consapevolezza di questo background è il nostro passato. Se non conosciamo questo passato non abbiamo nessuna consapevolezza di noi stessi, di ciò che siamo, possediamo e conosciamo”.
“In qualche modo – ha concluso – l’archeologia contribuisce a questa consapevolezza. Come per ogni scavo che portiamo avanti, cerchiamo di rileggere, pensare e ricostruire un contesto per riconsegnarlo a noi stessi e alla nostra storia”.
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