DIOCESI – Si è svolta ieri mattina alle ore 10:30, presso la Cattedrale di Santa Maria della Marina di San Benedetto del Tronto, la Messa Crismale. Presieduta dal Vescovo Carlo Bresciani e concelebrata dai sacerdoti della Diocesi, la solenne Messa è stata motivo di grande gioia per tutti i presenti.
Durante l’omelia il Vescovo Carlo Bresciani ha affermato: “Carissimi confratelli nel presbiterato, carissimi diaconi, religiosi e fedeli, oggi per noi rivestiti del sacramento dell’ordine, lo, sappiamo, è un giorno del tutto particolare. Il fatto che siamo qui tutti riuniti attorno al vescovo per celebrare la liturgia della benedizione degli olii santi e per rinnovare davanti alla Chiesa e al popolo di Dio le nostre promesse fatte il giorno della sacra ordinazione, da una parte, dice del nostro desiderio di unità nel presbiterio diocesano, dall’altra, la volontà di accogliere di nuovo quella missione che ci è stata affidata nell’ordinazione.
La stessa Parola di Dio, che è appena stata proclamata, pur riferendosi direttamente alla missione del Messia (è di Lui infatti che ci parla), rimanda anche alla nostra missione che non può che essere quella di continuare quella di Cristo per il bene nostro e dell’umanità. Dice infatti la Parola di Dio: “Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione, mi ha mandato a portare il lieto annunzio…”: così il profeta Isaia che Gesù cita nella sinagoga di Nazareth, iniziando la sua predicazione del Vangelo e applicando a sé quanto detto dal profeta.
In modo analogo possiamo e dobbiamo dire di noi consacrati con l’imposizione delle mani e con la sacra unzione per una finalità ben precisa che la parola di Dio e Gesù stesso sottolinea con grande chiarezza. Sì, perché siamo ordinati per una specifica missione ed è questa che dà il senso pieno all’ordinazione stessa. Non avrebbe alcun senso l’ordinazione senza la missione, essendo già battezzati e con il battesimo resi capaci del sacerdozio comune ad ogni fedele: quello cioè di poter offrire noi stessi a Dio come sacrificio spirituale a lui gradito (cfr. Rom 12, 1). Il Battesimo ci ha inseriti nella morte e resurrezione di Cristo (cfr Rom 6,3) e ci resi un popolo santo per Dio, pietre vive per la costruzione del tempio del Dio vivente (cfr 1Pt 2,5). Vivere il battesimo, nelle diverse situazioni di vita, basta per la salvezza.
Il ministero conferitoci con l’ordinazione non è per noi, ma per il popolo, per “portare ai poveri il lieto annunzio” (Is 61,1; Lc 4, 18). Questa è la nostra missione: cercare le modalità più adeguate perché il Vangelo possa raggiungere tutti gli uomini. Non a caso vengono indicate le categorie di persone più povere e bisognose, ma sappiamo bene che la povertà umana non è solo quella economica o quella segnata da malattia o limiti fisici e psicologici. Infatti, quando Gesù manda i suoi apostoli, dopo la sua resurrezione, dice loro di annunciare il Vangelo “ad ogni creatura”.
Dedicare la nostra vita a questa missione è la nostra specifica via verso la santità, è il nostro modo di vivere da cristiani, chiamati, come tutti i cristiani, a donare la nostra vita. Sappiamo che l’unico senso della vita è quello di essere donata.
San Paolo dice di se stesso che non è per lui un vanto predicare il Vangelo, ma una necessità (cfr 1Cor 9, 16) che deriva dall’avere incontrato Gesù e dall’essersi innamorati di lui. Non è vanto per noi essere presbiteri o diaconi, non è questione di essere in qualche modo superiori agli altri cristiani per il solo fatto di essere ordinati. Aver accolto una missione non ci toglie affatto di essere cristiani in cammino di fede con tutti gli altri fedeli in Cristo. Anche noi, come ogni cristiano, soprattutto in quest’anno dedicato da papa Francesco alla preghiera, dobbiamo sempre pregare, come hanno fatto gli apostoli: “Signore aumenta la nostra fede” (cfr. Lc 17, 6), senza mai dimenticare che la fede senza la carità è nulla. Come ci ricorda con grande determinazione san Paolo, anche la predicazione, per quanto sia erudita o fatta con ricorso a nuove metodologie, senza la carità non è annuncio del Vangelo, è solo cimbalo che strepita (cfr. 1Cor 13,1).
Nel brano del Vangelo, che è stato proclamato, Gesù stesso, con altre parole, dice la stessa verità. Infatti, collega la sua missione ad espressioni di carità concreta verso i poveri, i bisognosi, verso ogni persona che in quanto tale è affamata dell’amore di Dio.
In questi tempi di grandi cambiamenti ci stiamo tutti interrogando su come annunciare il Vangelo a un mondo che sembra essere sempre più indifferente e non certo ricco di immediata disponibilità ad ascoltarci. Si tratta di un mondo distratto da tante illusioni e dalla presunzione di poter ritenere la questione di Dio una questione chiusa, adatta solo a tempi meno illuminati rispetto al presente.
Che cosa possiamo noi donare a questo mondo pieno di tante parole e anche di tante sirene, ma proprio per questo anche ferito sempre più, un mondo ricco di sofferenze e di drammi personali, familiari, comunitari, sociali e, purtroppo anche di vere e proprie guerre molto sanguinose? Noi stessi ci rendiamo sempre più conto, casomai ne avessimo avuto qualche illusione nel passato, che le parole non bastano più in un mondo che le ha manipolate e svuotate di senso, in mondo in cui le parole manipolate servono solo a distruggere le relazioni e a ferire le persone. Ne sanno qualcosa gli studi sempre più affollati di psicologi, psicoterapeuti, consulenti familiari, mediatori culturali, pedagogisti… una sfilza sempre più lunga di professionisti chiamati a sanare ferite di ogni genere.
Dovremo, quindi, rinunciare a parlare? No, certamente. Non è quello che ha fatto Gesù; non è quello che hanno fatto gli apostoli. Con san Paolo dobbiamo dirci: “guai a me se non annuncio il Vangelo” (1Cor 9,16). Servono, però, parole che dicano la vita vera, che dicano la verità della nostra vita e nello stesso tempo dicano la verità di Dio. E queste parole sono i gesti concreti che parlano di carità. Serve costruire relazioni diverse a partire dal piccolo mondo della nostra vita quotidiana. È vero fanno meno rumore delle parole gridate, magari online, ma sono balsamo che rimargina e risana.
Le ferite più profonde che lacerano l’essere umano sono quelle che riguardano le relazioni, sono quelle che derivano da una povertà d’amore. A questa povertà ha parlato e ha risposto nostro Signore: ai poveri di amore perché malati e quindi emarginati; ai poveri di amore, perché egoisti come il ricco epulone (Lc 16, 19-31) o il cosiddetto giovane ricco (Mc 19, 16-30); a quelli che si credevano superiori e disprezzavano gli altri, come il fariseo al tempio (Lc 18, 9-14).
Vedete, le guerre provocano molti morti e grandi disastri, ma le ferite più profonde che lasciano non sono i morti -per quanto ciò sia certamente da deprecare- ma l’odio, i risentimenti, il desiderio di vendetta che lasciano dietro di sé: enormi fossati relazionali che avranno bisogno di tanta pazienza, forza e, purtroppo, tanto tempo per essere in qualche modo colmati.
Come parleremo del Vangelo, noi mandati proprio per questo? Certo con giusta e profonda conoscenza teologica del Vangelo e delle Scritture, senza accodarsi alle chiacchiere inutili del nostro mondo (l’aggiornamento è essere nel mondo, ma non del mondo), rinnovando la nostra catechesi e le modalità di introduzione alla vita di fede e tante altre cose sicuramente buone e meritevoli, cose di cui abbiamo certamente bisogno. Ma carissimi, certamente non basta e non basterà mai, se mancherà la carità, l’unica capace di comunicare l’amore di Dio, quell’amore di cui ci ha parlato san Giovanni nella seconda lettura. O con la nostra vita e le nostre relazioni saremo segni veri e autentici dell’amore di Dio, oppure mancherà l’essenziale alla nostra missione di presbiteri, anche se le chiese fossero affollate. In quest’anno dedicato alla preghiera chiediamo con umiltà al Signore il dono prezioso della carità.
Concludendo, come sapete, martedì scorso ho compiuto i 75 anni. Ringrazio tutti per gli auguri che avete voluto esprimermi. Come richiesto dal Codice di Diritto Canonico ho rassegnato nelle mani del santo Padre la mia rinuncia al ministero episcopale che mi era stato affidato. Pregate per me e per la nostra amata Diocesi. Accoglieremo attraverso la voce del pastore della Chiesa universale la volontà di Dio. Carissimi, cerchiamo di dare sempre il meglio di noi stessi alla nostra missione di pastori, secondo le nostre possibilità e con l’aiuto di Dio.
Attraverso di voi, giunga a tutte le vostre comunità il mio augurio pasquale. Gli olii santi che porterete nelle vostre parrocchie siano il segno di quella comunione nella carità che abbiamo vissuto in questa celebrazione e che fa la ricchezza della nostra Chiesa diocesana.
Dopo la liturgia della Parola sono state rinnovate le promesse sacerdotali e la benedizione dei tre olii santi (il crisma, l’olio degli infermi e l’olio dei catecumeni), che saranno accolti nelle Parrocchie della Diocesi e utilizzati nei vari Sacramenti.
In particolare, quest’anno, mescolato olio degli infermi c’è olio che proviene dagli ulivi piantati nel luogo della strage di Capaci, donato dalla Polizia di Stato in memoria dei servitori dello Stato là barbaramente uccisi dalla mafia. Vuole essere un segno che dalla morte può rinascere la vita.
Al termine della Messa, il Vescovo Bresciani ha voluto omaggiare i presbiteri, che hanno festeggiato un particolare anniversario, con un piccolo dono, segno della gratitudine della Chiesa.
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