Di Alessandro Di Medio
La volta scorsa ci siamo chiesti se fosse legittimo anche solo porre la domanda circa la possibilità di pregare in parrocchia, cioè se la parrocchia, che è l’espressione più prossima e feriale di Chiesa, sia un contesto adatto non tanto alle mille cose che alla parrocchia si chiedono, ma proprio alla preghiera, cioè al respiro della vita interiore delle persone, espressione quintessenziale della loro relazione con Dio.
Oggi proviamo a esplorare le possibilità di una risposta affermativa: la parrocchia può essere un luogo o, meglio, un contesto di preghiera se ci si prende cura di alcune cose. Ne consegue tragicamente che, allorquando questi aspetti che ci accingiamo a esaminare non siano curati, la parrocchia non può essere un contesto adatto alla preghiera.
Gli orari
Molto opportunamente Papa Francesco ordinò, ai tempi del lockdown, che le chiese della sua diocesi rimanessero aperte nonostante la proibizione delle celebrazioni aperte al pubblico, indicando in questa apertura un segno di speranza per la gente. In chiesa, in parrocchia, non si può pregare se la chiesa fa orari da ufficio. Qualcuno obietterà che si può pregare quando è aperta, ma il problema è che, quando le parrocchie con orari da ufficio sono aperte, è anche il momento in cui c’è tutto il tran tran delle richieste di certificati, delle celebrazioni d’orario, dei catechismi chiassosi, ecc. e qui non ci stiamo chiedendo se in parrocchia si riescano a dire le preghiere o a seguire le funzioni, ma se si riesca a coltivare la vita interiore nella preghiera e nel raccoglimento, o se si debba demandare tutto ciò soltanto a strutture (monasteri, case per esercizi) e a situazioni (ritiri, corsi di esercizi spirituali) specifiche. Lo ribadiamo: sì, in parrocchia si può pregare, ma allora la chiesa deve essere sempre aperta. La mia parrocchia apre la mattina alle 7.15 e chiude la sera alle 20.00, alle 21.00 il sabato e la domenica. In questo modo, da tempo vediamo persone che nella pausa pranzo o nelle prime ore del pomeriggio vengono a immergersi nel silenzio dell’adorazione e della meditazione, o anche solo ad accendere una candela! Penso alla signora C., che, da quando decidemmo (su indicazione del Papa durante il Covid) di tenere la chiesa sempre aperta, viene a pregare qui ogni giorno dalle 14 alle 19, ininterrottamente in ginocchio e in silenzio. Tutti i giorni. Già solo per lei varrebbe la pena.
Noi preti dobbiamo abbandonare una volta per sempre l’idea di orari settati su epoche rurali o, ammettiamolo, sul nostro comodo: la gente vuole pregare, e vuole farlo nella “sua” chiesa, ma la gente lavora, o fa babysitteraggio a tempo pieno per i nipoti, o deve assistere qualche malato a casa, o ha altri mille affanni che noi solo sfioriamo, e quindi va messa in condizione di poter accedere alla chiesa parrocchiale quando può, non quando vorremmo noi.
Questo da noi ha comportato l’assunzione di un guardiano nella fascia oraria che va dalle 13 alle 16, onde evitare incursioni vandaliche: tanto meglio, perché stiamo aiutando anche una persona che aveva perso il lavoro.
Gli spazi
La preghiera va favorita da spazi liturgici adeguati. Ad esempio la mia chiesa è molto bella, ma anche molto grande, e quando non ci sono celebrazioni si rischia una certa dispersione. Ciononostante le persone per lo più pregano in chiesa, sparse tra i banchi: la stessa ampiezza forse le aiuta a pensare all’infinito. A ogni buon conto ho convertito la precedente sacrestia, che è stata sostituita da una più funzionale, in una cappella per l’adorazione eucaristica, così che chi voglia può trovare più raccoglimento e coltivare questa forma tanto sentita di devozione eucaristica.
Ma la preghiera autentica va di pari passo alla direzione spirituale, perché nella preghiera Dio parla all’anima e quanto le comunica poi va sottoposto al discernimento. Quindi abbiamo abolito l’idea di un “ufficio del parroco” e degli altri sacerdoti: per le “pratiche” basta un generico “ufficio parrocchiale” in cui ci aiutano i collaboratori e, senza nulla togliere alle aule per la catechesi e i gruppi, due uffici sono stati risistemati come salotti per i colloqui personali. In un clima accogliente e curato le persone possono così trovare chi le confessi o condivida il frutto della preghiera fatta, per poi rimandare la persona alla preghiera che farà anche alla luce degli spunti della direzione spirituale.
La chiesa stessa, che rimane comunque il luogo principale della preghiera personale, va sempre tenuta pulita, sobria nelle decorazioni vegetali, e l’illuminazione deve favorire un clima di raccoglimento. Noi ad esempio tutti i venerdì pomeriggio dell’anno proponiamo il deserto, dalle 17.30 alle 20.30: la chiesa rimane appena illuminata nei due punti dove si trovano i confessori e sul Crocifisso. L’unica altra fonte di luce sono le candele, che ebbi cura di rimettere appena diventato parroco (prima c’erano delle orribili pseudo-candele con lampadine per lo più fulminate). Anche quella delle candele è una scelta ben precisa: comportano qualche piccola attenzione in più, ma evocano immediatamente un certo clima spirituale.
Il silenzio
Connesso al tema degli spazi c’è ovviamente quello del silenzio. In una parrocchia in cui prestai servizio aprirono una cappella per l’adorazione perpetua… a un metro dal campo di calcetto e dal cancello di ingresso dell’oratorio. Risultato: a meno che uno non fosse sordo come una campana, dalle 15 alle 21 era semplicemente impossibile pregare davvero.
Una parrocchia, nelle migliori delle ipotesi, è una comunità di persone vive, quindi è normale che in essa risuoni il chiasso della vita, ma allora si dovrà avere l’accortezza di situare nelle parti più recondite e distanti dalle zone di passaggio i luoghi deputati alla preghiera. Nel nostro caso questo ha comportato anche lo stringere accordi molto severi con le attività teatrali e sportive che si avvalgono di nostri ambienti, proibendo loro qualsivoglia attività prima di una certa ora, o in certi giorni. Di nuovo, per ottenere il risultato di una parrocchia che possa anche essere un punto di riferimento per la preghiera personale e la vita interiore occorre che il parroco anzitutto, e con lui i suoi collaboratori, si impegnino attivamente in ciò con una visione di insieme che valuti tutti gli elementi presenti nella specifica realtà parrocchiale.
Lavorare sui tempi e sugli spazi è già tanto e crea la condizione di possibilità della preghiera: il resto lo fa lo Spirito Santo nel cuore delle persone, che se non si troveranno davanti porte chiuse, posti squallidi e chiasso continuo saranno ben liete di prendersi qualche momento con il Signore.
La prossima settimana vedremo però che è importante non solo permettere a chi lo desideri di pregare in parrocchia, ma ancor di più formare le persone a riscoprire questo desiderio, che fa tutt’uno con la formazione continuativa all’essere persone di fede nella concreta vita quotidiana.
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