(Foto Siciliani/Gennari-SIR)

Stefano De Martis

Diminuiscono le persone a rischio povertà in base al reddito, ma aumentano quelle che stanno peggio poiché si trovano in condizioni di “grave deprivazione materiale e sociale”. I dati diffusi dall’Istat dicono che nel 2023 il 18,9% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà avendo avuto, nell’anno precedente l’indagine, un reddito netto inferiore al 60% di quello mediano (11.891 euro). In valori assoluti si tratta di oltre 11 milioni di individui. Al calo dell’incidenza di persone a rischio di povertà rispetto all’anno precedente (quando la quota era del 20,1%) ha contribuito – spiega l’Istituto nazionale di statistica – “l’insieme delle misure di sostegno alle famiglie, quali l’Assegno unico universale per i figli, i bonus una tantum per contrastare l’aumento nei costi dell’energia e le modifiche intervenute nella tassazione”. Per quanto riguarda l’Assegno unico, l’Istat rileva però che a fronte di un impatto generale positivo quasi il 10% delle famiglie (il 9,6%, per la precisione) nel 2022 ha subito una perdita economica nel passaggio dai vecchi assegni familiari alla nuova misura di sostegno, il 5,1% non ha avuto variazioni sostanziali, mentre l’85,3% ha registrato un aumento medio mensile di 170 euro.

Nello stesso tempo il 4,7% della popolazione (circa 2 milioni e 788mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale con aumento rispetto al 4,5% del 2022, in particolare al Centro, al Sud e nelle Isole. L’aumento generalizzato dall’occupazione, peraltro, ha comportato un significativo ridimensionamento (dal 9,8% all’8,9%) della quota di individui che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro, ossia con componenti tra i 18 e i 64 anni che hanno lavorato meno di un quinto di quanto potenzialmente disponibile.
Il quadro complessivo viene confermato e chiarito nelle sue dinamiche se si prende in considerazione l’indicatore composito relativo alla “popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale”, ovvero la quota di individui che si trova in almeno una delle precedenti condizioni (riferite a reddito, deprivazione e intensità di lavoro). Tale quota è pari al 22,8% (circa 13 milioni 391mila persone), in riduzione rispetto al 2022 (24,4%). Questo andamento – sottolinea l’Istat – è la sintesi della riduzione della popolazione a rischio di povertà (-6% rispetto al 2022), dovuto alla crescita dei redditi nominali, e soprattutto della diminuzione della popolazione in condizione di bassa intensità di lavoro (-9,2%), con un aumento tuttavia della quota di popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (+4,4%). Un dato che suona come un campanello d’allarme che spinge a evitare una lettura facilmente ottimistica dei fenomeni in atto. Tanto più che i fattori che agiscono in senso positivo vanno interpretati con prudenza: i redditi risultano cresciuti a causa dell’inflazione, mentre in termini reali sono diminuiti, e sull’aumento dell’occupazione pesa l’ombra del “lavoro povero”.

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