DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Gesù è venuto a rivelarci il volto di un Dio che di sicuro, da soli, non avremmo mai potuto immaginare.
Ascoltiamo come lo descrive Mosè al popolo di Israele: «…dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi?».
È come se, in altre parole, la Scrittura volesse dirci: si è mai sentito che Dio non sia l’imperscrutabile Signore da tenere buono, lontano, non sia un Dio minaccioso ma invece sia un Padre il cui sguardo, dice il salmista, «è su chi spera nel suo amore, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame»? Un Dio che «ama la giustizia e il diritto» e del cui amore «è piena la terra»?
Leggiamo ancora nel libro del Deuteronomio: «Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».
Dio si cala nella storia del suo popolo, nella storia di ciascuno di noi, per evitarci il pericolo dell’astrattismo, cioè l’idea di un Dio ridotto a valori, a formule da imparare a memoria.
Un Dio che, con «prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori», ha scelto, liberato, accompagnato, rialzato il popolo stesso.
Un Dio che, attraverso «le sue leggi e i suoi comandi», ha voluto istruire, far crescere, aiutare a maturare Israele affinché, lo abbiamo appena letto, potesse essere felice e potesse vivere al meglio, lui e la sua discendenza.
Non sono forse questi gli atteggiamenti, le modalità, l’opera di un padre nei confronti dei propri figli? Un Dio che, da Padre, ha cresciuto e spronato il suo popolo a riconoscere e scegliere sempre per la vita, per il bene, per la benedizione.
Un Dio, poi, che si fa Figlio, affinché, come nostro fratello, possa accompagnarci a riscoprire la nostra identità di figli di Dio. Un Dio fatto carne che ci incoraggia a tirar fuori da noi quel grido «Abbà, Padre» che Gesù stesso, nella sua vita terrena di Figlio, non ha mai smesso di rivolgere al Padre, un grido che ci è stato consegnato per ritrovarci figli e fratelli.
Perché, come ci conferma Paolo nella seconda lettura, possiamo essere certi e consapevoli di non aver «ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma […] lo Spirito che rende figli adottivi».
Figli, eredi, partecipi della gloria e della gioia del Padre, e non fedeli, devoti, sudditi, schiavi, soldati.
Un Dio che si fa Spirito, affinché non manchiamo di credere che Lui, come ci indica Gesù nel Vangelo, è con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Un Dio che, da Spirito, va oltre ogni confine di tempo e di spazio assicurandoci la sua presenza, la sua compagnia, la sua custodia sempre.
Questo Dio ci permette davvero, come canta il salmista, di riconoscerci beati perché ci dà la possibilità di toccare con mano il suo amore, il suo aiuto, il suo esserci di nutrimento, il suo rialzarci e liberarci continuo, il suo esserci da scudo, la sua giustizia, la fedeltà di ogni sua opera per noi.
Il suo essere un Dio Padre per noi, un Dio Figlio con noi, un Dio Spirito Santo in noi.
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