Di Alberto Baviera
“Dobbiamo vivere i giorni della Settimana sociale come un respiro per una missione ancora più grande che ci deve vedere tutti un po’ più protagonisti”. Questo l’invito di mons. Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, nell’imminenza della 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia che si terrà nel capoluogo giuliano dal 3 al 7 luglio prossimi.
Eccellenza, mancano pochi giorni all’inizio della 50ª Settimana sociale. Con che spirito si vive l’attesa? Come si è preparata la comunità ecclesiale di Trieste ad ospitare e partecipare all’evento?
Stiamo vivendo questi giorni con grande gioia per un grande dono immeritato. La visita del Papa, se non ci fosse stata la Settimana sociale dei cattolici, non l’avremmo avuta. E siamo molto contenti per il prossimo incontro con il Santo Padre. In modo spontaneo in questi giorni mi sono stati consegnati lettere, disegni, messaggi da parte degli anziani delle case di riposo piuttosto che dai bambini delle scuole e degli oratori. Un fatto molto bello che ci è di monito a prepararci bene per incontrarlo. Per quanto riguarda la 50ª Settimana sociale, ancora prima che sapessimo della venuta del Papa avevamo già registrato molta attenzione e curiosità. Tanta gente non sapeva cosa fosse, le stesse Istituzioni che si sono prestate con prontezza a collaborare. E per una Settimana sociale che sarà sul tema della partecipazione oltre che su quella della democrazia, dobbiamo riconoscere che
c’è stata fin dall’inizio una bella partecipazione, una corresponsabilità vissuta.
In pochi giorni Trieste accoglierà il presidente della Repubblica, che aprirà i lavori della 50ª Settimana sociale, e Papa Francesco, che li concluderà. Cosa si aspetta da questa doppia e significativa presenza?
I lavori della Settimana sociale saranno dedicati a democrazia e partecipazione, questioni molto rilevanti che ci vedono tutti, sia come cittadini sia anche come cattolici, sia sul versante della cittadinanza sia su quello della fede cristiana, un po’ in difficoltà.
Siamo coscienti che gli indici della partecipazione sia alle elezioni come alle attività ecclesiali, tante volte sono in negativo, c’è una diminuzione di presenze, di attività, di compartecipazione.
Per cui ci aspettiamo che il presidente della Repubblica, tutto l’adattamento della Settimana fino alla conclusione con il Papa ci aiutino a
ritrovare le ragioni buone che portano a rimetterci in gioco nel costruire la città, nel costruire la Chiesa.
Non si tratta di lasciarsi andare soltanto a delle analisi sociologiche o a delle lamentele, ma c’è necessità di trovare delle buone ragioni e anche delle buone pratiche – a Trieste ci saranno i “Villaggi delle Buone pratiche” e 18 “Dialoghi delle buone pratiche” – per
rilanciare la partecipazione attiva da parte di tutti. Ci aspettiamo che Mattarella e il Papa ci diano qualche suggerimento, qualche indicazione, ci diano motivazioni su questo versante.
Ha già pensato a cosa dirà loro?
Non è previsto che debba dire qualcosa al presidente della Repubblica. Ci sarà magari l’occasione per qualche parola in modo informale, un saluto. Al Papa, invece, porgerò semplicemente un ringraziamento alla fine della celebrazione eucaristica di domenica. D’altra parte, la Settimana sociale è un evento della Chiesa italiana e come comunità diocesana noi siamo contenti di collaborare; siamo quelli che ospitano e vogliamo fare in modo che tutti si trovino a loro agio.
C’è uno specifico di Trieste che vi sentite di poter offrire come contributo per questa 50ª Settimana sociale?
Certo, sia come comunità civile sia come comunità cristiana. Ambiti che in realtà si intrecciano, pur avendo evidentemente caratteristiche molto diverse.
Trieste è una terra di frontiera e pertanto, come comunità civile ma anche come comunità cristiana, ci troviamo a confronto continuo con la differenza, l’alterità.
Che non è soltanto al di là del confine. Da sempre, essendo una città di mare con un grande porto, qui sono arrivati popoli che poi si sono stabilizzati e si è vissuto insieme. A livello ecclesiale, la caratteristica è quella di una Chiesa cattolica che però costitutivamente è sia di lingua italiana che di lingua slovena. Una comunità che al suo interno già vive la diversità, tuttavia nella confessione dell’unica fede nel Signore Gesù. C’è poi una relazione con le comunità cristiane che storicamente qui si sono stabilizzate – quella greco-ortodossa, serbo-ortodossa, ‘protestanti’ – e con quella ebraica, quella musulmana. Siamo una comunità cristiana che già da tempo ha imparato a relazionarsi nella differenza ma anche nel rispetto, nella stima reciproca con altre comunità religiose. E così anche quella civile:
dopo, purtroppo, i dolori che ci sono stati nel secolo scorso per le due guerre mondiali e anche per le fatiche e le violenze che si sono subite un po’ da tutte le parti, c’è stato un imparare di nuovo a costruire una convivenza di pace, di rispetto reciproco. Un imparare, perché non si è mai imparato fino in fondo.
E, per questo, non è che siamo maestri, possiamo insegnare. Però siamo dentro a questa scuola, per cui Trieste certamente ha qualche cosa di suo da poter indicare; non con l’ambizione di avere da insegnare come fossimo maestri e gli altri apprendisti, ma invece come qualcuno che ci sta provando.
Domenica 7 luglio, prima della messa in piazza Unità d’Italia, il Papa incontrerà brevemente alcuni gruppi distinti: rappresentanti ecumenici, esponenti del mondo accademico e di un gruppo di migranti e disabili. Che messaggio pensa arriverà da questo momento?
Il desiderio è semplicemente quello che il Papa possa incontrare e salutare un po’ di persone che dicono l’identità di Trieste.
Ho detto delle diverse comunità religiose. Poi, essendo terra di frontiera e trovandoci sul confine, ci saranno gruppi di migranti. Tante volte pensiamo ai migranti come se fosse un blocco monolitico, in realtà ci sono quelli che pure venendo dalla rotta balcanica si sono già stabilizzati e per loro l’integrazione è già conseguita, mentre altri sono magari appena arrivati. C’è una migrazione continua, potremmo quasi dire uno stillicidio quotidiano. Qui non abbiamo l’arrivo dei barconi con centinaia di persone in una volta sola, ma invece tutti i giorni lungo tutto l’anno arrivano migranti dalla rotta balcanica. E il Papa saluterà anche queste persone, con il loro desiderio di vita e di speranza, provenendo da terre che invece che li hanno costretti a fuggire e incontrando anche le violenze, non soltanto quelle della loro patria, ma talvolta anche quelle del viaggio. Verso queste persone Trieste si trova in prima linea, in una dimensione che talvolta è di accoglienza e altre volte invece è di fatica nell’integrazione per via delle diffidenze, della paure, delle stanchezze delle persone. C’è sempre un grande lavoro che ci rimane da fare anche per dare il nostro contributo come comunità cristiana a questa dimensione.
Cosa si augura la 50ª Settimana sociale possa portare alla comunità ecclesiale e civile di Trieste?
Sarà bello poter fare un’esperienza di Chiesa, di una Chiesa sinodale nella quale ci si ascolta, si partecipa, si cresce insieme. Penso che questo dovrebbe essere il lascito più bello: una bella esperienza di Chiesa che è più grande di noi, che siamo sempre un po’ tentati dall’essere autoreferenziali, di ripiegarci un po’ sulle nostre idee o sulle cose che già stiamo facendo. Spero che questi giorni ci lascino questo grande regalo, questo grande risultato.
Mi auguro che le persone – chi parteciperà alle piazze tematiche, chi come volontario, chi si è preparato con la preghiera o con la propria partecipazione ad eventi che abbiamo fatto a livello diocesano piuttosto che nelle diverse comunità – maturino il desiderio di essere più protagonisti, più attivi, più partecipi, sia nella vita civile come anche in quella ecclesiale.
E poi, riguardo alle tante buone pratiche che verranno esposte e presentate, chissà che a qualcuno sorga l’idea di provare ad impiantarne qualcuna a Trieste dando vita ad iniziative che possono avvenire soltanto perché qualcuno di più si mette in gioco da protagonista.
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