Di Francesco Bonini

C’era una volta la “democrazia dei partiti” o la “partitocrazia”, due espressioni del secolo scorso.
La prima è di Lelio Basso, per definire, in Assemblea Costituente, il nuovo assetto, oltre il sistema parlamentare. La seconda è stata coniata, pochi anni dopo, con evidente intento polemico, da Giuseppe Maranini.
I partiti sono necessari, ma servono regole e persone vere, autentiche. È il senso dell’articolo 49 della nostra Costituzione. Che disegna un esigente rapporto tra l’istituzione partito e la democrazia. È un nodo che viene al pettine in tutti i momenti di crisi e di passaggio. Lo è stato negli anni Settanta, quando fu introdotto il finanziamento pubblico. Lo è stato all’inizio degli anni Novanta, quando i partiti tradizionali sono stati travolti dalla caduta del Muro di Berlino e da Tangentopoli e sono nate nuove forze politiche. Lo è oggi, quando si è esaurito il ciclo ventennale della cosiddetta Seconda Repubblica.
Il nodo viene al pettine in particolare in questa estate senza vacanze e piena di incognite, in cui tutti i partiti si devono ripensare.
Per carità, non è un problema solo italiano.
La “crisi della forma partito” è all’ordine del giorno in tutti i sistemi politici e da non pochi anni. L’ultimo dei modelli elaborati dalla scienza politica, quello del “partito cartello”, constata che i partiti sono ormai delle vere e proprie istituzioni, connesse con quelle statali, finanziate dallo Stato, che in buona sostanza possono fare a meno di iscritti e militanti, salvo mobilitarli a scopo di legittimazione.
Sarebbe insomma cresciuta negli ultimi anni una contraddizione inesorabile tra forma partito e istanze di democrazia. La cosiddetta democrazia elettronica poi esaspererebbe queste contraddizioni, per cui è comunque il vertice – formato per cooptazione – che decide. Così i partiti, e non solo i cosiddetti partiti personali, sono verticalizzati, presidenzializzati, con la conseguenza di perdere progressivamente capacità di rappresentanza. Anche per la difficoltà di articolare programmi.
Fin qui gli schemi. Che disegnano i rischi concreti di un circolo vizioso e quindi, di conseguenza, di una sclerosi dei sistemi democratici, tra attese dei cittadini e vincoli sistemici. Tanto più in anni di crisi e di bilanci pubblici sempre più magri.
Il caso italiano, ancora una volta, è emblematico: dei processi di crisi, di degenerazione, ma anche del desiderio di partecipazione. Il momento è propizio: tutti i partiti in questi mesi si dovranno ristrutturare. Hanno una chanche. La devono giocare.
In cima alle attese della gente c’è sempre il taglio dei costi e dei privilegi della politica, che porta con sé la questione della forma–partito e della legge elettorale.
Infatti il modo più efficace per abbattere davvero i costi della politica è favorire in tutti i modi – e cioè prima di tutto con regole adeguate – la partecipazione. Che non è una parola vuota, o uno slogan. C’è tanta gente e soprattutto ci sono tanti giovani che hanno voglia di dire la loro, come li ha esortati a fare il Papa proprio alla Gmg di Rio. Devono essere messi in grado di farlo.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *