Di Silvia Rossetti
Un adolescente su cinque è interessato dal fenomeno dell’autolesionismo, così riferiscono i dati raccolti dalla Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Dopo la pandemia i casi in Italia sarebbero aumentati del 27%. I ragazzi che manifestano disagio e problemi di salute mentale hanno in media 15 anni, prevalentemente si tratta di femmine. Ne parliamo con la professoressa Emanuela Confalonieri, psicologa e docente di psicologia dello sviluppo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Come si avvicinano i giovani alla pratica dell’autolesionismo?
Tra i tanti comportamenti a rischio che gli adolescenti mettono in atto c’è anche l’autolesionismo. Spesso è espressione di una richiesta d’aiuto e segnala un disagio vissuto molto in profondità. Interessa sia adolescenti che preadolescenti, sulla sua diffusione però i dati non sono certi, perché si manifesta in maniera sommersa. Riguarda maggiormente le ragazze, ma i casi sono in aumento anche fra i maschi. Tra le pratiche più comuni c’è il cutting, ovvero il procurarsi dei tagli sui polsi, sulle braccia, sulle gambe o anche su altre parti del corpo. Quando alcuni adolescenti raggiungono forti livelli di intensità emotiva, di ansia, o uno stato di stress per loro intollerabile, trovano nel tagliarsi una sorta di “sfogo”. Paradossalmente si tratta di un’azione che, nelle intenzioni, non è finalizzata al farsi del male, ma che cerca un sollievo rispetto al dolore interiore e al senso di solitudine che il giovane prova. In qualche modo, attraverso il cutting si rende “fisico” un dolore “mentale”.
Si tratta di un fenomeno spontaneo o emulativo?
Rispetto ad altri comportamenti a rischio come bere e fumare, che hanno una forte dimensione sociale, l’autolesionismo si sviluppa maggiormente in situazioni di solitudine. Il cutting, ad esempio, è un gesto molto privato, per il quale spesso si prova vergogna. I giovani tendono a occultare i segni dei tagli che restano sul loro corpo. L’aspetto emulativo forse può riguardare chi si taglia occasionalmente, non chi ne prolunga la pratica nel tempo.
L’autolesionismo è sintomo di un rapporto deviato con il proprio corpo? Può essere legato a pensieri suicidari?
La civiltà dell’immagine in cui siamo immersi attribuisce una grande importanza al corpo, per questo motivo gli adolescenti lo scelgono come strumento privilegiato per esprimersi e comunicare, pensiamo ad esempio ai piercing, ai tatuaggi, agli outfit estremi. Più che di un rapporto deviato con il corpo, questa sintomatologia è correlata a un “male di vivere” difficile da gestire. Deve quindi essere differenziata dalle intenzioni suicidarie: chi si “taglia” non vuole morire, piuttosto tenta in maniera disperata e distorta di alleviare il proprio dolore.
Come si deve comportare un genitore quando scopre sul figlio segni di autolesionismo?
I comportamenti distruttivi nei confronti del corpo, che alcuni giovani assumono, generano forte angoscia nei genitori, si temono azioni più gravi e irreparabili. La preoccupazione è giusta, ma è bene che non degeneri in un eccessivo allarmismo, la paura spesso amplifica il disagio. La migliore strada in questi casi è sempre quella del dialogo, che deve essere affrontato nei giusti tempi e modi. A volte occorre trovare il momento opportuno per evitare che le emozioni troppo forti trasformino il confronto in discussione. È importante che i giovani percepiscano la presenza e il sostegno dei genitori. Sarebbe uno sbaglio banalizzare, o sminuire il gesto autolesionistico. Bisogna far capire che c’è bisogno di un aiuto specialistico e fare in modo che esso sia tempestivo.
È possibile avviare percorsi di prevenzione? In quale modo?
La famiglia, la scuola, gli enti territoriali dovrebbero creare sinergie atte a promuovere una cultura del benessere tra gli adolescenti. Oltre al dialogo in casa, è necessaria un’educazione più centrata sulle competenze emotive e comunicative dei giovani, finalizzata anche al riconoscimento dei comportamenti disfunzionali. Spesso a praticare autolesionismo sono adolescenti con criticità relazionali, quindi andrebbero incoraggiate le attività di gruppo, promuovendo i luoghi di aggregazione giovanile. L’ascolto, poi, è fondamentale, troppo frequentemente trascuriamo questo aspetto nella comunicazione e nell’educazione.
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