Il Decreto legge cosiddetto “svuotacarceri” cita strutture di accoglienza non ben definite, non affronta il nodo delle lungaggini burocratiche legate al funzionamento degli organi della giustizia, non prevede nuove assunzioni per le figure educative negli istituti di pena: sono i rilievi mossi dal Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) al decreto legge cosiddetto “svuotacarceri” esprimendo preoccupazione sia “per l’approccio alla base del provvedimento sia per alcuni punti specifici contenuti nel testo”.
Le comunità terapeutiche residenziali della rete Cnca ospitavano, nell’ultima rilevazione effettuata, quasi 400 persone in misura alternativa alla detenzione. In primo luogo, il Cnca ribadisce che “la strada maestra per affrontare il problema del sovraffollamento in carcere è solo quella di ridurre gli ingressi nelle strutture detentive e limitarne i tempi. Un risultato che si raggiunge con una decisa azione di depenalizzazione e di ricorso esteso alle misure alternative alla detenzione. Non è più tollerabile che tensioni e problemi sociali vengano affrontati creando nuovi reati, aumentando le pene e limitando il ricorso alle misure alternative, come anche questo governo sta facendo fin dalla sua costituzione”. In secondo luogo, spiega il Cnca, “allarma quanto citato all’art 8 del decreto legge, in cui è prevista l’istituzione presso il ministero della Giustizia di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale delle persone detenute adulte. Queste strutture residenziali dovrebbero garantire servizi di assistenza, di riqualificazione professionale e reinserimento socio-lavorativo dei soggetti residenti, compresi quelli con problematiche derivanti da dipendenza o disagio psichico. Ci domandiamo – rimarca il Cnca – a quali tipologie di strutture si stia facendo riferimento. Per le persone con problematiche di dipendenza o di salute mentale sono previsti, infatti, servizi specifici nella rete del Sistema sanitario nazionale pubblico, e quando questi servizi sono offerti da ‘comunità’ a gestione privata sono previsti processi di accreditamento delle stesse che prevedono requisiti strutturali e di personale dettati da normative regionali. È a queste comunità che il decreto si riferisce o si vogliono creare nuove strutture, fuori dal sistema attuale di accreditamento, semmai riservate solo a persone inserite nel circuito penale e con un numero di ospiti ben superiore a quello delle strutture oggi esistenti? Sarebbero delle micro carceri private per le persone tossicodipendenti e/o con problemi psichiatrici, una soluzione che sarebbe inaccettabile”. In terzo luogo, la federazione rileva che “il problema principale per l’accesso in comunità è dato spesso da lungaggini burocratiche e da effettive difficoltà di funzionamento degli organi della giustizia. Andrebbero semplificate e velocizzate le procedure (i tempi di attesa per una camera di consiglio possono arrivare a 12 mesi) e non impedito l’ingresso anche per coloro che sono in attesa di giudizio”. Infine, il decreto legge prevede un aumento degli agenti penitenziari ma, per il Cnca, “non stabilisce nulla per l’endemica mancanza di personale dedicato alle aree educative trattamentali degli istituti di pena. Spesso le persone ristrette arrivano a fine pena senza la redazione della Relazione di sintesi necessaria per la richiesta al magistrato di sorveglianza delle misure di esecuzione penale esterna. Riteniamo che si debba investire urgentemente anche per accrescere nelle carceri queste professionalità”.
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