Nello scorso fine settimana in Bangladesh sono state arrestate oltre 9.000 persone tra leader studenteschi, partecipanti alle proteste ed esponenti dei partiti di opposizione a seguito delle manifestazioni contro la riforma delle quote riservate nel pubblico impiego ai figli dei veterani della guerra d’indipendenza del 1971.
“Siamo di fronte a una caccia alle streghe con cui le autorità vogliono ridurre al silenzio chiunque osi sfidarle e mantenere un clima di paura. Questi arresti sarebbero politicamente motivati, una rappresaglia contro chi ha esercitato i suoi diritti umani. È fondamentale che le autorità del Bangladesh rispettino il diritto della popolazione alla libertà di espressione e di protesta pacifica”, ha dichiarato Smriti Singh, direttrice per l’Asia meridionale di Amnesty International.
“Le autorità devono assicurare che ogni arresto rispetti le garanzie sul giusto processo e sia perfettamente in linea con gli standard e le norme del diritto internazionale dei diritti umani, come a titolo non esaustivo il diritto a un processo equo e pubblico, il diritto di essere informati sui motivi dell’arresto e a conoscere il luogo di detenzione, il diritto di essere portati prontamente di fronte a un giudice e quello ad avere accesso alla difesa legale e contatti con le famiglie”, ha proseguito Singh.
“Inoltre, le autorità devono garantire che le persone che protestano pacificamente non siano raggiunte da false accuse per punirle di aver manifestato. La protesta pacifica non è un reato e questa caccia alle streghe deve terminare”, ha concluso Singh.
Il pomeriggio del 26 luglio tre coordinatori delle proteste – Nahid Islam, Asif Mahmud e Abu Bakar Majumder – sono stati prelevati da agenti di polizia in borghese mentre erano all’interno dell’ospedale Gonoshasthaya Nagar della capitale Dacca, nonostante l’opposizione dei medici. Altri tre coordinatori – Sarjis Alam, Hasnat Abdullah e Nusrat Tabassum – sono stati arrestati nei due giorni successivi.
Il ministro dell’Interno, Asaduzzaman Khan, ha dichiarato che queste persone erano state arrestate “a tutela della loro incolumità”. Il 28 luglio, mentre erano ancora sotto fermo di polizia, i coordinatori hanno annunciato in un breve videomessaggio la fine delle proteste, condannando le uccisioni, le violenze e gli incendi.
Un altro leader studentesco, Arif Soheil, è stato fermato il 27 luglio. Per le successive 36 ore si sono perse le sue tracce fino a quando la divisione investigativa della Polizia ha confermato il suo fermo.
Il fermo di Arif Soheil è stato prorogato di sei giorni in relazione all’assalto e all’incendio di un palazzo governativo, risalente al 18 luglio. Gruppi di studenti hanno dichiarato che si trovavano con lui, in una località a un’ora di distanza.
Secondo fonti di stampa, oltre 213.000 persone, della maggior parte delle quali non è noto il nome, sono sotto accusa in 200 indagini aperte dalla polizia per le violenze scoppiate nelle recenti proteste. Le stesse fonti hanno messo in evidenza che molti leader e attivisti dei partiti di opposizione sono tra gli arrestati.
La tattica di non fornire i nomi delle persone arrestate nel corso delle indagini consente alle forze di sicurezza, come già documentato da Amnesty International, di arrestare chiunque esse vogliano.

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