“I negoziati per il cessate il fuoco si sono trascinati all’infinito, con i leader delle parti in guerra apparentemente più preoccupati di considerazioni politiche che di porre fine alla ricerca di morte e distruzione. Questi ripetuti ritardi, uniti ad altri atti provocatori, hanno solo contribuito ad aumentare le tensioni al punto che ci troviamo sull’orlo di una guerra regionale a tutto campo”: così i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme, in una nota diffusa oggi, esprimono la loro preoccupazione per “l’attuale guerra devastante” e per la direzione da questa intrapresa che i leader religiosi così descrivono: “Milioni di rifugiati rimangono sfollati, le loro case inaccessibili, distrutte o irreparabili. Centinaia di innocenti vengono uccisi o gravemente feriti ogni settimana da attacchi indiscriminati. Innumerevoli altri continuano a sopportare la fame, la sete e le malattie infettive. Tra questi ci sono coloro che languono in cattività da tutte le parti, che affrontano inoltre il rischio di maltrattamenti da parte dei loro rapitori. Altri ancora, lontani dai campi di battaglia, hanno subito attacchi incontrollati contro i loro villaggi, pascoli e terreni agricoli”. Chiaro il riferimento alla violenza dei coloni israeliani sulle comunità palestinesi. Mentre ci si avvicina al 12° mese di guerra, si legge nella dichiarazione, “la situazione nella nostra amata Terra Santa ha continuato a peggiorare. Noi, patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme, imploriamo ancora una volta i leader delle parti in guerra di ascoltare i nostri appelli e quelli della comunità internazionale (Risoluzione 2735 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite) per raggiungere un rapido accordo per un cessate il fuoco che porti alla fine della guerra, al rilascio di tutti i prigionieri, al ritorno degli sfollati, al trattamento dei malati e dei feriti, al soccorso di coloro che hanno fame e sete e alla ricostruzione di tutte le strutture civili pubbliche e private che sono state distrutte”. Dai capi religiosi l’invito “ai leader di questi popoli, di concerto con la comunità internazionale, ad avviare senza indugio negoziati che portino a misure concrete che promuovano una pace giusta e duratura nella nostra regione attraverso l’adozione di una soluzione a Due Stati sostenuta a livello internazionale”.
La dichiarazione termina con la preoccupazione per le comunità cristiane locali: “Tra queste rientrano coloro che si sono rifugiati a Gaza presso la parrocchia ortodossa di San Porfirio e quella cattolica della Sacra Famiglia, così come il coraggioso personale dell’ospedale anglicano di al-Ahli e i pazienti sotto la loro cura. Promettiamo loro le nostre continue preghiere e il nostro sostegno sia ora che alla conclusione della guerra, quando lavoreremo insieme per ricostruire e rafforzare la presenza cristiana a Gaza, così come in tutta la Terra Santa. Facciamo appello ai cristiani e a tutti le persone di buona volontà in tutto il mondo affinché promuovano una visione di vita e pace in tutta la nostra regione dilaniata dalla guerra, ricordando le parole di Cristo ‘Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio’. In questo periodo di crisi estrema, impegniamoci tutti a lavorare e pregare insieme nella speranza che, per grazia dell’Onnipotente, potremmo iniziare a realizzare questa sacra visione di pace tra tutti i figli di Dio”.
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