DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
È martellante la parola di questa domenica. Ascoltiamo alcuni versetti della prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica […] Le osserverete dunque, e le metterete in pratica…».
Fa eco l’apostolo Giacomo, nella seconda lettura: «Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi […]. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto».
Ascoltare e mettere in pratica la Parola, in altri termini aprire l’orecchio e il cuore alla Parola e rendere tutto ciò che si è ascoltato gesti e vita concreta.
La richiesta del Signore non è una imposizione, una pretesa che Lui vuole vantare su di noi e sulla nostra vita ma è la conseguenza di un amore che si preoccupa della felicità del suo popolo, di ciascuno di noi.
Una legge che è espressione della vicinanza di Dio e del suo desiderio di camminare con il suo popolo. Per arrivare dove? Per condurlo dove?
Lo leggiamo sempre nel libro del Deuteronomio: «…perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi…», ed ancora, «perché quella – cioè la Parola osservata e praticata -, sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli». E l’apostolo Giacomo conferma: la Parola «può portarvi alla salvezza».
Una Parola di Vita, una Parola per la vita. Per questo il Signore incalza, ancora per bocca di Mosè, e ci dice: «Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo». Anche Gesù, rispondendo ad alcuni farisei e scribi che stanno contestando i suoi discepoli perché «non si comportano secondo la tradizione degli antichi», ci ammonisce: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Il Signore ci chiede di far attenzione: c’è un rischio, ci dice, quello di dare troppo od esclusivo rilievo alla «tradizione degli uomini», ovvero a tutte quelle prescrizioni, precetti, consigli che gli uomini di ogni tempo e luogo hanno ideato per tradurre nel concreto il comandamento di Dio e per applicarlo ai vari casi della vita. Uno sforzo sicuramente doveroso e necessario sul quale, però, occorre vigilare: c’è il rischio, infatti, che queste molte tradizioni finiscano col far perdere di vista l’essenziale. Ogni gesto, in questo caso, diventa inutile o addirittura controproducente, perché riteniamo, come gli scribi e i farisei incontrati da Gesù, di essere giusti, migliori di altri, accontentandoci delle azioni che possiamo vantare e non preoccupandoci se il nostro cuore è lontano.
«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Gesù, con le sue parole, risponde che i suoi discepoli possono mangiare il pane anche con mani sporche. Santo o peccatore, fragile o forte, sporco o integro: l’uomo è “autorizzato” ad entrare in comunione con Dio con tutta la propria vita, perché la Bella Notizia non è essere o diventare puri per stare dinanzi al Signore ma essere chiamati a starci ciascuno nella propria condizione, qualunque essa sia. L’avere mani sporche, cioè, diventa l’occasione e non l’impedimento alla comunione con Dio.
Facciamo attenzione, allora, a cosa ci spinge ad agire, proviamo a riconoscere i moti profondi del cuore, impariamo a comprendere se è la Parola che abbiamo ascoltato a diventare gesto concreto perché ha messo radici in noi o se i gesti sono esteriori, senza amore, non radicati nell’amicizia con Dio.
Perché, e concludiamo con le parole del salmista, «Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre».
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